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Il diritto alla felicità è nato a Napoli, figlio di Gaetano Filangieri

Nel corso della presentazione dell’ultimo saggio di Marcello Veneziani, “Lettere a Seneca sulla felicità”, qualcuno ha ricordato il grande pensatore napoletano del 700, Gaetano Filangieri, autore della grandiosa opera, La scienza della Legislazione.

Filangieri non soltanto fu uno dei primi a riflettere, nel contesto italiano sul tema della ricerca della felicità e delle sue relazioni con i diritti dell’uomo, ma addirittura ispirò il presidente americano Benjamin Franklin, per la sua personale conoscenza del pensatore napoletano, nella scelta di inserire nel testo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, il principio coniato dal Filangieri “l’uomo ha diritto alla felicità”.

La citazione risulta storicamente documentata, come dimostra lo scritto del professor Stefano E. D’Anna, membro della European School of Economics, che di seguito, sinteticamente trascrivo.

«La Dichiarazione d’Indipendenza degli Usa ha un padre napoletano. Nell’ottobre del 1999, ero con un amico americano, un sociologo di Oxford. Il discorso cadde su quel documento dell’umanità che è la Dichiarazione di Indipendenza americana. Trovavo straordinario, e lo dissi al mio amico, che nel 1776 un gruppo di uomini illuminati da un “entusiasmo” filosofico e civile, nel redigerlo, concepissero un diritto mai affermato prima, il diritto alla felicità.

Quella conversazione sarebbe rimasta tale, uno scambio di idee tra amici, se in quella occasione en passant non avessi appreso che quella espressione che credevo coniata da quei legislatori-filosofi, capeggiati da Thomas Jefferson e da Benjamin Franklin, non era americana.

La prima stesura del documento, ancora in bozza, in quel punto recitava: l’uomo ha diritto alla proprietà. Ma la proposta che era di John Locke non convinse Franklin, il padre della rivoluzione americana, che non ne era soddisfatto; come un corpo per vivere ha bisogno di tutti gli organi e lì mancava l’organo più importante, il cuore. Fece allora qualcosa di straordinario. Mandò una delegazione in Italia.

Avrei voluto saperne di più. Ma il mio amico non sapeva altro se non che quella delegazione aveva con sè la bozza della dichiarazione di indipendenza di quella nascente nazione e la missione di chi doveva completarla.

Di lì a poche settimane, nel dicembre del 1999, dovetti recarmi a Napoli per attività legate al nuovo ateneo della European School of Economics.

In quella occasione visitai Palazzo Serra di Cassano, sede dell’Istituto Filosofico, e la mostra allestita per il bicentenario della Rivoluzione napoletana, la rivoluzione dei filosofi che doveva condurre al martirio di una intera classe intellettuale, tra le più colte ed illuminate d’Europa.

Appresi che quel palazzo era rimasto chiuso per duecento anni, dal giorno in cui il giovane figlio, fervente seguace delle idee repubblicane, cadde martire di quella repressione.

Fu lì che trovai un libricino di circa 70 pagine, l’ultima pubblicazione dell’Istituto, un omaggio a Gaetano Filangieri e alla sua opera “La scienza della legislazione”.

Quel giorno scoprii l’informazione che mancava al mio amico americano. Benjamin Franklin aveva inviato il testo della Costituzione a Gaetano Filangieri, usando due intermediari di suggestivo valore simbolico: Luigi Pio, diplomatico napoletano a Parigi e l’abate Leonardo Panzini, che aderì alla Repubblica e ne fu rappresentante presso il Direttorio.

Allo scadere esatto di due secoli nel Palazzo Serra di Cassano, mi veniva rivelato il segreto prezioso.

Ora sapevo che quella idea era nata dalla intelligenza e dalla passione civile di Gaetano Filangieri, una delle voci più alte della coscienza europea. Benjamin Franklin l’aveva incastonata come un gioiello, insieme al diritto alla vita e alla libertà in quella Unanime Dichiarazione dei Tredici Stati Uniti d’America».

P.S.: Quel diritto alla felicità sancito dalla legge resta comunque una entità diversa dalla felicità intesa come condizione interiore dell’anima.

Quello non è un diritto, ma uno stato dell’anima, come lo è in assoluto la napoletanità.

Valentino Di Giacomo splendidamente ne ha definito i tratti: “è un modo di intendere la vita, di ricordare, di amare. È un’attitudine allo stare al mondo, in un modo diverso dagli altri. È dare poca importanza a cose che da altre parti sarebbero vitali e tantissima rilevanza a cose invece superflue per alcuni.

La nostra felicità è un diritto naturale e io lo nacqui.

Antonio Patierno

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