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La vita di Benitez a puntate / Valencia, la rivoluzione del riso che condusse al trionfo

“Nessun giocatore di rilievo lascerà il Valencia finché sarò io il presidente, altrimenti me ne andrò”. Così aveva promesso Pedro Cortés dopo gli addii di Farinos e Claudio Lopez. Ma quando fu costretto a vendere Mendieta, la gente si sollevò e il consiglio direttivo pure. Dimissioni. Per questo Benitez, appena arrivato, si ritrovò senza il miglior giocatore e senza il dirigente che lo aveva voluto lì. Il mercato gli portò Marchena dal Benfica, Rufete e De los Santos dal Malaga, Salva dall’Atletico Madrid e due calciatori che erano stati con lui al Tenerife, Curro Torres e Mista. Buon lavoro, Rafa, fai con questi, facci vedere che sai fare.
Estate 2001. “Io penso che possiamo fare grandi cose, lo vedo in allenamento, abbiamo grosse opportunità”. Mentre la maggior parte dei tifosi neppure ancora conosceva l’idea di gioco di Rafa, la squadra già lo seguiva, lasciandosi alle spalle gli insegnamenti passati di Cuper e Ranieri. Benitez era arrivato lì dopo aver visto e rivisto i filmati delle vecchie partite del Valencia, con il suo inseparabile preparatore atletico Paco Ayestarán aveva introdotto una rivoluzione nel lavoro precampionato: niente corse nei boschi, no a sedute atletiche massacranti, muscoli leggeri di fatica sin dall’inizio. E pallone. Tanto pallone. Il concetto è: già in estate si lavora come se fosse una settimana tipo di piena stagione. I calciatori ne furono conquistati, ovviamente. Molto meno per tutto quanto il resto.
Rafa teneva sotto controllo anche la dieta della squadra, in accordo con il dottor Jordi Candel aveva proibito i gelati. Kily Gonzalez, argentino in uno spogliatoio dove gli argentini erano una voce forte, si spinse fino al litigio con Rafa. Lo spogliatoio fece trapelare la cosa sui giornali. Così come trapelò la rimozione del riso dal menu. “Con Ranieri lo mangiavamo sempre”, dissero i senatori. Con me no, replicò Benitez. Per un po’, negli articoli sul giovane emergente Benitez non si parlava che di questo. Riso e gelati, gelati e riso. Fino a quando non fece digerire la cosa alla squadra portando in tavola sempre i vini della migliore qualità, era consentita una bottiglia per ogni tavolo, e i tavoli li aveva composti lui, come pure gli abbinamenti in camera, quasi sempre per affinità di ruolo in campo. La sua meticolosità era rispettata e temuta, poi il gruppo cominciò anche a scherzarci su, soprattutto a pranzo, alla vigilia della partita, quando nel bel mezzo del ritiro sul televisore piazzato nel salone spuntava la faccia di Rafa, intervistato, e allora si rideva e si scherzava: “ehi mister ma che cazzo di fesserie gli stai raccontando?”.
Estate 2001. Era l’anno in cui nacquero i Galacticos, il Real Madrid stellare aveva preso anche Zidane. E cosa ti capita alla prima giornata? Valencia-Real. Sulla panchina madridista Del Bosque, ex compagno di lavoro. In un Mestalla pienissimo ed eccitato, il Real andò nel panico, Figo venne espulso, Albelda annullò Zidane, il Valencia vinse giocando la partita perfetta. La stagione che avrebbe portato alla vittoria del campionato, il primo dopo 31 anni, cominciava così. Non sarebbero mancate le difficoltà. Dopo due pareggi in casa dell’Athletic Bilbao e del Barcellona (due 2-2), Rafa venne criticato per i cambi che avevano prodotto due rimonte subite: ma perché togliere Aimar? La pressione cresceva, i tifosi chiedevano di più, la crisi vera giunse dopo 5 partite senza vittorie e un solo gol segnato. Tornarono i dubbi su di lui, tornarono sui giornali il riso e i gelati. Fino alla notte di Barcellona. Alla partita con l’Espanyol. Tutto il Mediterraneo era sotto una nevicata imprevista e inedita. Barcellona bloccata, la sera prima della partita il pullman del Valencia arrivò in grande ritardo sul previsto. Qualcuno parlava di match da rinviare. Zero gradi, sopralluogo al mattino, poi la decisione di giocare. In uno stadio ghiacciato e con soli 5.000 spettatori. Primo tempo: 2-0 per l’Espanyol. Non si sa cosa disse Rafa nello spogliatoio, se alzò la voce o se disse dai, ragazzi tranquilli. Si sa che mise in campo quel Mista che si era portato da Tenerife e che tolse Aimar, come era successo fra le critiche col Bilbao e col Barça. In 20 minuti la rimonta: da 0-2 a 3-2. E fu rimonta anche in classifica. La cavalcata verso il titolo venne interrotta da una sconfitta in casa del Real condizionata da errori arbitrali e da un’altra in casa con il Valladolid, tipico contraccolpo da shock. Rafa si presentò in sala stampa e contraddicendo presidente e dirigenti disse che sarebbe stato ancora possibile vincere la Liga, che gli arbitri non avevano alcun impatto sul lavoro suo e della squadra, i tifosi dovevano essere ottimisti, l’ottimismo avrebbe dato la spinta decisiva alla squadra. Andò così. A maggio, battendo il Malaga, il Valencia tornò campione. Stavano aspettando da 31 anni. Campioni. Con Rafa. E non era finita.
Il Ciuccio (8 – continua)

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