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De Laurentiis manda un messaggio sugli ultrà. È il caso che qualcuno lo raccolga

Abbiamo fatto qualche cattivo pensiero e provato grande solidarietà per Aurelio De Laurentiis. Ma prima riportiamo integralmente la dichiarazione del presidente sull’episodio di “Napoli Colera” avvenuto ieri in curva B – chi l’ha già letta salti pure al paragrafo successivo:

“Ci sono culture, come quelle delle curve degli stadi, che spesso non vengono capite e che non vengono bene interpretate da chi è chiamato a giudicare. Probabilmente queste persone non hanno il background giusto per capire e non hanno studiato a fondo il fenomeno. Le curve, visto che siamo in uno stato di diritto, sono libere di esprimersi come meglio credono e noi possiamo solo condividere o meno certi pensieri senza però dover per forza giudicarli. – continua De Laurentiis – Il problema andava risolto molto tempo addietro, visto che certi comportamenti si trascinano ormai da molti anni, ma non lo si è fatto. Non si è riusciti a debellare certi fenomeni come successo all’estero. Club e istituzioni dovrebbero aprire un tavolo comune per lavorare assieme alla risoluzione di certi problemi, ma finora non c’è mai stato nulla di simile in questo senso”.

Presidente alcune – brevi – domande e considerazioni:

1. A noi pare che Lei stia mandando un messaggio in codice al giudice sportivo (e molto più in alto anche) perché capisca quello che è ormai chiaro a tutti: che in Italia – e a Napoli in particolare – il tifo “ultrà” rappresenta un movimento, se non organizzato, perlomeno fortemente coordinato. E dice che le società nulla possono e certo non possono pagare per le azioni di quei gruppi. A noi sembra chiara anche un’altra cosa: lei dice che ci avrebbe pure provato a fare qualcosa per isolarli e metterli all’angolo, come aveva pur aveva detto di voler fare, ma che ha perso questa battaglia;

2. Vagamente, dice che se ci si vuole riprovare, l’iniziativa non può certo partire dalle società, che sono esposte fisicamente direi, e che tocca invece ai poteri dello stato prendere l’iniziativa;

3. Se così stanno le cose, si conferma una vociferazione che in città è intensa: che lei ha dovuto cedere qualcosa in termini di piccole “amicizie” verso questi gruppi, magari in biglietti e nelle loro forme di vendita; oppure la pratica del “se non puoi batterli, alleatici” è andata oltre?

4. Noi le facciamo presente e senza nessuna polemica che tutte le innovazioni di cui lei si fa portatore – stadio, vendita biglietti, pubblico – sono di difficile realizzazione se al piede della società e della città resta questa palla di piombo, fatta di militanti sempre pronti “all’azione”. Dove il problema non sono certo gli slogan scanditi allo stadio, ma condizionamenti di altro genere;

5. E però allo stadio un problema esiste: c’è un tifo “spaccato” e in parte intimidito, anche per opera di questi gentiluomini che hanno, come tutti i cittadini, diritto di parola (qui lo abbiamo scritto), ma che nella pratica dello stadio ne privano gli altri o li insultano quando questi altri si esprimono. Il Napoli può permettersi una “community” così divisa? La “cultura” del nostro tifo dev’essere rappresentata da loro? E non è questo un devastante danno di immagine (Non può sfuggire a nessuno che il gesto di ieri è un ennesimo messaggio: qui, in questo stadio comandiamo noi, la musica la dirigiamo noi)?

6. Presidente, oltre alla sua serena minimizzazione che è francamente inspiegabile, c’è dell’altro che lei vorrebbe dire alla città e alle sue autorità? Sa, ci ricordiamo di certi assalti, certe intimidazioni a giocatori, puntuali come “orologi” svizzeri. Nessuna diffamazione e calunnia per nessuno e un tifoso non è mai un delinquente solo perché focoso, ma sa, uno si preoccupa, stai a vedere che poi si ricomincia con gli orologi nel momento culminante del finale travolgente. Non è che lei sopporta, per carità di gestione, anche una certa sottovalutazione che del problema fanno le forze dello stato?

7. E l’ultima domanda va ai governi. Della città, del paese e al governo del pallone: signori, De Laurentiis ha ragione. Perché ci lasciate soli, noi persone del calcio civile? L’Inghilterra, il suo modello, è proprio inarrivabile?
Vittorio Zambardino

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