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Nel salotto buono con lo scuorno in faccia. Ma ora calma. Per non rivivere il passato

#iosonorafaelita, sempre. Però non posso impedire al mio cuore di spaventarsi. E cosa mi ha spaventato ieri sera? Facciamo il cammino a ritroso.

L’imbarazzo di Benitez a fine partita. Per la prima volta era incazzato nero e si vedeva. Però non voleva parlare male dei singoli e soprattutto sembrava nascondere un nodo irrisolto (“o’ mariuolo ‘n cuorpo”, you know…). È perfino affiorata, al plurale, la parola “episodi”. Rafa, no. Gli “episodi” no. Se non puoi dirci quali sono i problemi veri, se non puoi spiegarci perché gente che è partita alla grande oggi si affloscia come un palloncino bucato (Hamsik), almeno dicci che non puoi parlare e noi ci accontenteremo. Vederti diventare giustificazionista davanti alle telecamere, questo non vorrei veder mai.

Il secondo tempo più del primo. Il primo è facile da capire. Loro andavano al doppio della velocità, arrivavano regolarmente prima di noi sul pallone, sull’avversario, davanti al portiere. Non c’è stata partita, poteva finire 4-0. Ma il secondo? E’ il secondo tempo la mia angoscia. Quel continuo lancio lungo, quella inconcludenza, il tiro in porta da lontano e regolarmente fuori bersaglio, le punte che fra loro non si cercano, la ricerca dei singoli del colpo spettacolo. Una decina di tiri alti ma uno sprint a fine partita. Ma allora il fiato c’era. Era la testa che era bloccata?

“Con lo scorno in faccia” . Mi sembrava di sentire una voce cantare in falsetto. Un atteggiamento timido e, come sempre quando provo un’emozione forte, mi viene da dirla in napoletano. Stavamo in Europa, nel salotto buono, ma “co’ scuorno ‘n faccia”. Rossi in viso, vergognosi, impauriti. Come il Napoli di due anni fa, che arriva a Londra con due gol di vantaggio sul Chelsea e ne prende quattro. O il Napoli delle ultime due trasferte a Torino-Juventus. Il Napoli di Milano dopo il Villareal in Europa League (3-0). Insomma “quel” Napoli, che quando l’avversario fa sul serio, abbassa gli occhi.

Questo e solo questo angoscia me-tifoso. Perché “Undici siamo noi e Undici sono loro” è un modo saggio di vedere le cose. Ma se noi diventiamo piccoli puffetti impauriti, gli altri appariranno come giganti e noi ci vergogneremo. E noi non vogliamo vergognarci più. Questo ci aspettiamo da Rafa: non vittorie infinite, ma partite in cui ce la siamo giocata.

E ora? Ora calma. Ieri sera su Facebok si sono sprecati i “pappone” e “gli acquisti non fatti”. Degli acquisti riparla anche qualche bravissimo commentatore stamattina. Domando io: riusciamo a sottrarci, almeno quelli che per mestiere seguono il calcio, alle tentazioni dello schema mentale, del riflesso pavloviano, delle risposte pronte sullo scaffale come il tonno al supermercato?

Io ho una sola domanda e se qualche giornalista rispondesse gliene sarei grato: perché il passato del Napoli non passa ancora?

Per questo #iosonorafaelita e lo resto. Perché non voglio rivivere il passato.
Vittorio Zambardino

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