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Caro Napolista, noi siamo Pulcinella, il calvinista Benitez non ci appartiene. Almeno a me

1. Premessa. Vorrei compiere uno sforzo per provare a spiegare, prima di tutto a me stesso, perché, in quanto affetto da quella particolare ‘malatìa’ che è il tifo per il Napoli, mi sento a disagio, per quali ragioni avverto una sorta di contraddizione interiore. A questo scopo devo fare una breve premessa.
Quando il Napoli perde, faccio fatica a prender sonno. Il Napoli è una parte decisiva del mio essere. Perché? È difficile spiegarlo.
C’è sicuramente una componente ‘normale’, quella che è propria di ogni tifoso di una qualunque squadra del mondo, e di ogni appassionato, più o meno competente, del gioco del calcio.
A questa, però, si aggiunge un’altra componente, che può ben dirsi ‘speciale’. Quella per cui, per moltissimi napoletani, più o meno consapevolmente, anzi istintivamente, irrazionalmente – ma non irragionevolmente! –, la squadra di calcio costituisce la più immediata forma di rappresentazione di sé, del modo di essere di un popolo, come se dentro di essa ci si vedesse specchiati. V’è una vera e propria identificazione del popolo napoletano nella sua squadra di calcio: una dimensione identitaria che così intensa è raramente riscontrabile altrove.
E, con buona pace degli intellettuali con la puzza sotto il naso, il calcio finisce per rappresentare uno dei più significativi luoghi di confronto fra le diverse identità antropologiche.

2. Respiro di internazionalizzazione e provincialismo. Nella lettera di auguri scritta ai tifosi per le festività, De Laurentiis riprende il must degli ultimi mesi: il «respiro di internazionalizzazione» che Benitez avrebbe «conferito all’intero ambiente», sul quale «vogliamo fondare il nostro futuro calcistico e culturale». Credo che occorra fermarsi a riflettere proprio a partire da questo.
Voglio chiarire subito che sono il primo a riconoscere i meriti del Presidente: eravamo nella crisi più nera, il suo intervento ci ha ridato la vita. Credo che a nessuno sia consentito di mettersi a disquisire sulle ragioni che l’hanno spinto a farlo. Sono fatti suoi. Il dato oggettivo è che in pochi anni siamo tornati ad essere, semplicemente ad essere, il che è moltissimo perché eravamo sul punto di finire.
Ciò detto, tuttavia, se uno ci pensa, non sono solo fatti suoi se il suo ‘far impresa’ col Napoli passa attraverso l’illusione che ingenera nei consumatori del suo ‘prodotto’. Voglio per ciò provare ad offrire la mia lettura di questo modo di ‘fare impresa’ col Calcio Napoli, tentando di spiegare la crisi di identità che avverto nel fare il tifo per una squadra che gioca come quella attuale.
Noi siamo orgogliosi della maschera che ci rappresenta, del nostro simbolo: Pulcinella, che interpreta metaforicamente il popolo partenopeo, il quale, stanco degli abusi e delle umiliazioni subite, si ribella a chi gli ha reso la vita dura. Pulcinella manifesta la voglia di rivincita del popolo napoletano, e lo fa attraverso l’ironia con cui si burla del potere, di fatto affermando la volontà di vivere secondo il suo modo. Pulcinella è un servo pigro e furbo, ama vivere alla giornata sfruttando la sua astuzia, è pronto ad adeguarsi a qualsiasi situazione che l’occasione richiede. È spontaneo, semplice, generoso. Soprattutto non è presuntuoso, anzi a suo modo è umile, anche se, quando deve mostrare la sua gioia, lo fa in maniera plateale.
Ebbene, vi pare che il modo di giocare del Napoli di Benitez corrisponda a questo modello antropologico-culturale? O non richiama, più verosimilmente, la cultura protestante, quella de “il lavoro paga”? Un modo di giocare sfrontato, che pretende di imporsi all’avversario, senza l’umiltà di chi prima lo capisce e poi si adatta a lui per vincerlo. Quella cultura che negli anni d’oro abbiamo combattuto e vinto, essendo fieri che Lui ci aveva consentito di rendere vincente il nostro modo di essere (epicureo), non omologandoci a quello mitteleuropeo (calvinista).
A me pare che la maniera giusta di affermarsi a livello internazionale sia quella di non rinunciare al proprio tratto esistenziale, dimostrando che, anzi, questo può risultare vittorioso (sempre che il confronto non sia ‘truccato’). È provinciale la esterofilia acritica, non l’orgoglio per le proprie radici, le cui peculiarità vanno difese e preservate nel confronto con quelle ‘diverse’. Se il «respiro internazionale» significa diventare come gli altri, e appiattirsi sul loro modello culturale, preferisco rinunciare, e continuare a respirare l’aria del golfo!
Io mi domando: vuole il Presidente veramente coniugare impresa e passione, o fare impresa sulla passione di un popolo? Che significa ‘internazionalizzarsi’? Diventare competitivi come Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Bayern Monaco, PSG, Monaco, e così via? Bene, queste società però – a quel che so – non hanno i bilanci in attivo.
Certo, si può fare bene l’impresa del pallone, tenendo la squadra ad ottimi livelli per fare quattrini. Ma allora lo dichiari, il Presidente, ché non portiamo l’anello al naso. Lo abbiamo capito che oggi non vende Higuain al Chelsea, non perché vuole rendere il Napoli vincente, ma perché sarebbe un danno per l’impresa Calcio Napoli se lo vendesse. Se così non fosse, ieri avrebbe tenuto Lavezzi e Cavani, e invece li ha venduti facendo un sacco di soldi, solo una parte dei quali è stata reinvestita, quella necessaria a lasciare il Napoli a buoni livelli, ma mai facendolo realmente competitivo per la vittoria.
Adesso, dunque, il racconto prevede l’affabulazione della ‘internazionalizzazione’: ancora una volta, però, non per affermare il nostro modo di essere ed esportarlo, ma per sfruttare l’illusione a fini imprenditoriali.

3. L’anima della squadra. Soffermiamoci ora sul modo di giocare del Napoli di Benitez. Anche se ci siamo compiaciuti per le lacrime di Higuain (peraltro è tutto da dimostrare quanto fossero per la città ed il popolo, e non per l’insuccesso personale!), questa squadra sembra aver perduto l’anima. Andando dietro alla chimera estetizzante del bel gioco d’attacco, si è dissolta l’anima partenopea.
Emblematica è la vicenda del capitano, Cannavaro. Nessuno può affermare che sia inferiore a Britos e Fernandez. E allora perché non gioca? Si dice perché ha sempre fatto degli errori. E chi non ne fa? Perché quelli del grande Albiol mai vengono adeguatamente messi a fuoco? I goal con Borussia, Parma, Udinese e Cagliari hanno mostrato (a chi ne capisce) che, per ben quattro volte, il fortissimo centrale spagnolo ha sbagliato il movimento difensivo. Per questo è stato processato? No, naturalmente, lui conferisce ‘respiro internazionale’. L’altro, invece, è figlio di Partenope, e dunque quando segna Zaza col Sassuolo, non è soprattutto colpa di Reina (altro emblema di ‘respiro internazionale’), ma solo ed esclusivamente sua! E quando con la Roma, subentrato a Britos, fa fallo su Gervinho, beh, è sicuro che Albiol al suo posto non lo avrebbe fatto, dimenticandosi di quello da rigore, per certo meno giustificabile, che lo spagnolo fece su Balotelli contro il Milan a San Siro. E quando Borriello gli fa fallo e si ‘ruba’ un rigore inesistente, la colpa è comunque sua, per essersi fatto fregare ingenuamente, e non del fatto che sia stato palesemente calpestato il regolamento.
Che vuoi farci? Del resto lo stesso sembra toccare ad Insigne, l’altro figlio di Partenope, pardòn, di Frattamaggiore: e sì, “chistu cafunciello se n’è ghiut’ e’ capa”! Vuoi mettere lui e Mertens? Quello è belga, è più forte per definizione!
Vogliamo parlare di Maggio? Chiunque sa di calcio vede che gran parte del gioco di Benitez si regge sul sacrificio suo e dei due centrocampisti centrali: epperò basta che sbagli un passaggio e si sente urlare che non è buono, che in serie A non si può toccare la palla così male!
Fatto sta che, non dando adeguatamente valore a questi giocatori, la squadra ha perso l’anima. Non morde l’avversario con ferocia, piuttosto si guarda allo specchio, compiacendosi delle belle giocate: e pazienza se non si vince, almeno siamo usciti a testa alta dalla Champions, abbiamo giocato un bel calcio! Ma perché, come uscimmo dalla precedente partecipazione, a testa bassa? Personalmente mi sono esaltato di più nelle due partite col Manchester City e in quella in casa con il Chelsea, di due anni fa, che battendo Borussia e Arsenal al San Paolo, quest’anno. De gustibus, naturalmente, non si discute: ma almeno si eviti di falsificare la realtà!

4. L’integralismo velleitario ed il confronto con Mazzarri. Non basta. Ammettiamo pure di voler condividere la rivoluzione tattica e questo nuovo modo di giocare. Alla presunzione, però, comunque non si può accoppiare il velleitarismo!
In campionato, a Firenze sembrò manifestarsi un certo qual buon senso. Poi si è smarrito! A Roma con la Lazio, parve essere tornato con la sostituzione di un attaccante con un terzo centrocampista sul 3 a 2: e fu il 4 a 2. Con l’Udinese in casa, di nuovo velleitari: niente sostituzione sul 3 a 2, e venne il 3 a 3. Con l’Inter ancora un barlume di saggezza: sostituzione sul 3 a 2 e fu ancora 4 a 2. Infine, a Cagliari, seppur si vuol giocare sfrontati, perché dall’inizio Pandev e non Mertens, che garantisce maggiore copertura? E poi perché, quando entra il belga, va fuori Insigne e non Pandev? Anche in Champions, perché non assumere a Dortmund un assetto più prudente? Col senno di poi, senza quel terzo gol subito, la qualificazione non sarebbe sfuggita.
Il gioco presuntuoso, insomma, diventa pure velleitario se, per un verso, non si dispone di tutti gli elementi giusti per praticarlo, e, per un altro, non viene adeguatamente supportato da una preparazione fisica ‘mostruosa’. Per giocare a quel modo devi avere due esterni che corrono da matti: Callehon ed Insigne sono stati fin qui sfiancati. Lo si vuol fare? Va bene, d’accordo, ma allora si adegui coerentemente la preparazione atletica. Non si può rischiare di spompare i giocatori oltre ogni ragionevolezza, per restare astrattamente fedeli ad un credo integralista!
Quando la scorsa estate, costretti a subire l’abbandono di Mazzarri, venimmo a sapere dell’ingaggio di Benitez, mi espressi con cauto ottimismo. Avevo seguito il cammino del Chelsea in Europa League, fino alla vittoria finale, apprezzando la intelligenza tattica con cui l’allenatore faceva giocare la sua squadra: confutavo, per ciò, l’opinione prevalente nella stampa che lo indicava come un fedele seguace di Sacchi. Dicevo a tutti: vedrete, questo non è un integralista, saprà sfruttare il lavoro straordinario svolto da Mazzarri e portarlo avanti. E le sue dichiarazioni in questo senso mi confortarono. Poi, però, i fatti sono andati un po’ diversamente.
Una parte consistente della opinione pubblica, delusa dalla scelta di Mazzarri, ha preso a stigmatizzare la sua cattiva capacità di comunicazione, scambiando per presunzione la sua ‘ombrosa’ serietà; al tempo stesso ha enfatizzato la tecnica comunicativa di Benitez immediatamente accattivante: Rafone ha capito subito cosa avrebbe dovuto fare per sedurre la piazza, esaltando Napoli e facendosene convinto ambasciatore nel mondo (anche se, a dire il vero, troppo velocemente per essere del tutto credibile!)
Purtroppo, nell’attuale, finisce per contare soltanto l’immagine, che si è trasformata in contenuto. Siamo andati privando la sostanza di ogni valore: sei quello che riesci a far apparire! Del resto, basta vedere come e chi, in Italia, si sta con successo proponendo in luogo del ‘venditore di illusioni’ per antonomasia, dopo vent’anni di quasi incontrastato dominio: il vuoto che continua a rappresentarsi come un valore insostituibile!

5. Il desiderio di essere clamorosamente smentito. Avrei ancora altro da dire, ma sono già stato troppo lungo. Vengo perciò alle conclusioni, che devono essere in linea con la premessa. Perché mi sento vittima di una schizofrenia devastante? Perché, nonostante quel che ho appena scritto, diversamente da quelli che con Mazzarri contestavano smettendo di tifare, io non smetto affatto.
E quando a Cagliari ci annullano un gol regolare, ed il Pipita cicca due tiri che per lui dovrebbero esser gol, io sto male! E male sto passando le festività costretto a guardare Sky che parla solo di Juve e Roma, e pure – incredibile! – di Milan e Inter, trattando noi da provinciali: altro che «respiro di internazionalizzazione»!
Nonostante tutto, per ciò, io tifo, e quando il Napoli non vince dormo male e campo peggio! In piena contraddizione con me stesso, quindi, mi auguro fortemente che quel che vedo e penso si riveli sbagliato. E non mi dorrebbe affatto se Benitez – che mi sta pure simpatico – dimostrasse che sbaglio! Alla fine il tifoso prevale sempre sul competente!
Naturalmente, preferirei che adeguasse il gioco della squadra all’antropologia del suo popolo, ascoltando la voce che predica saggezza tattica. Vorrei tanto che, con un po’ di umiltà – ed evitando di cedere troppo alla coltivazione della buona immagine per i media – riportasse il Napoli a vincere restando coerentemente esponenziale del popolo che rappresenta!
Guido Clemente di San Luca

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