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“Mamma, lo fanno rivedere il gol?”. Maledetta tv, ti racconto la prima volta allo stadio dei miei figli

“Mamma, lo fanno rivedere il gol?”. Maledetta tv, ti racconto la prima volta allo stadio dei miei figli

Stadio San Paolo. Esterno giorno. Sono le 11 del mattino. Su Fuorigrotta il cielo è plumbeo. Qualche goccia di pioggia, ma in lontananza il cielo è azzurro. È la prima volta allo stadio dei miei figli e io sogno questo momento da anni. Entro con l’intenzione di registrare tutte le emozioni dei miei figli, per stamparmele nella memoria. Sette anni e cinque, l’età giusta, credo. Il piccolo non arriva neppure alla transenna dei varchi. Hanno le magliette mimetiche sotto le giacche pesanti e ne vanno fieri. Alessandro, il grande, è Higuain. Niccolò, il piccoletto, è Callejon, ma solo perché Babbo Natale non ha trovato Insigne, che a lui piace il 24. Lo stadio è pieno di bambini, non per niente è la befana. Tribuna centrale inferiore, che è peggio che vederla da casa, ma è lo Stadio, il San Paolo, il tempio, e io spero che la conversione si compia facendo un giro di campo, come un cerchio perfetto. Appena intravede il campo, Alessandro fa: “Ooohhhh. Quant’è grande!”. Orgoglio di mamma. Ma forse è solo perché sono ore che gli ripeto: “Vedrai quant’è grande visto da vicino”. Prendiamo posto. Il loro sfizio è avere i panini nello zaino, me li chiedono dalle 11,15. L’attesa passa veloce, lo stadio si riempie piano. Esce il sole. I distinti, di fronte, si colorano di giallo. Non fanno che chiedermi perché tutti urlano. Dopo, quando le nostre orecchie non ne potranno più della litania della Curva A, mi diranno: “È insopportabile”. Orgoglio di mamma due. Riscaldamento, i loro occhi si riempiono, guardano i calciatori cercando di riconoscerli. Noi genitori li aiutiamo indicandoglieli. Ma manca qualcosa, non c’è l’emozione pura, la gioia perfetta, è come se ci fosse un filtro in mezzo. È come un film già visto. Com’è possibile, se è la loro prima volta? Inizia la partita. La prima azione del Napoli ce l’abbiamo sulla sinistra, più vicino a dove siamo noi. Botta centrale di Higuain. Il portiere della Samp para. Noi ci alziamo tutti in piedi sperando nel gol. Invece niente. È lì che succede. Alessandro mi chiede: “Mamma, la fanno rivedere?”. Maledetta televisione. È colpa tua. I bambini, oggi, sono abituati a vedere lo stadio com’è, lo stadio ingrandito, lo stadio in 3d, le inquadrature avveniristiche, i palloni a distanza ravvicinata. E con la Playstation e la Wii è come se in campo ci fossero anche loro. Sono bambini di un presente che somiglia sempre più a un futuro lontano anni luce dal nostro passato. Da quando, entrando per la prima volta in uno stadio, quasi ci sentivamo sopraffatti da tutto quel verde. Quando lo stadio ci sembrava davvero un Tempio e noi ci sentivamo come gli abitanti di Lilliputh. Tutto questo non tornerà più. Loro, abituati a stupirsi solo se si rilancia, come a poker, lo stupore semplice dell’avere nulla non lo toccheranno mai. Hanno seguito la partita fino alla metà del secondo tempo, quando hanno intercettato i nostri telefonini che volevano giocare a Fruit Ninja. E no, cazzo, durante uno spettacolo di arte sacra i telefonini no! E mentre Mertens mi rapiva il cuore e prendevo in braccio Alessandro per farlo esultare insieme a me, quasi in coro mi chiedono: “Mamma, chi tifa Napoli, qui?”. Cioè, per loro il pubblico era tanto, troppo, non era possibile che fosse tutto colorato di azzurro. “Tutti”, gli ho risposto, “tutto lo stadio”. Ecco, almeno una cosa la televisione non è ancora riuscita a mostrarla: l’immensità della moltitudine, le voci confuse, le urla, persino i petardi e la litania della curva. Quelle resteranno lì finché non saranno riprodotti anche i suoni e le persone attraverso la televisione del salotto. E l’appartenenza a un tutto, che ormai avviene solo allo stadio. Quella gli resterà nel cuore. Il prossimo obiettivo è fargli ascoltare dal vivo l’urlo The Champions. Televisione: ti sfracellerò. Ilaria Puglia

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