Qualcuno fermi la spirale d’odio negli stadi italiani. Prima che sia troppo tardi

La situazione ci sta sfuggendo di mano. Potremmo dire vi sta sfuggendo di mano e rivolgerci alle autorità sportive e a Graziano Delrio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che ha la delega allo Sport. Ma preferiamo la particella pronominale che coinvolge tutti. Ci stiamo rapidamente avviando verso un punto di non ritorno. È giunto […]

La situazione ci sta sfuggendo di mano. Potremmo dire vi sta sfuggendo di mano e rivolgerci alle autorità sportive e a Graziano Delrio, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che ha la delega allo Sport. Ma preferiamo la particella pronominale che coinvolge tutti.

Ci stiamo rapidamente avviando verso un punto di non ritorno. È giunto il momento che gli amanti del calcio provino per un momento a svestire i panni del tifoso. Ormai non ce ne accorgiamo nemmeno più. Ogni domenica o comunque ogni appuntamento calcistico si trasforma in un momento più o meno eversivo, più o meno civile. Soltanto oggi abbiamo assistito alla banana lanciata a Constant a Bergamo, all’esposizione degli striscioni di sostegno a Daniele De Santis – l’uomo che ha sparato a Ciro Esposito la scorsa settimana a Tor di Quinto prima della finale di Coppa Italia, ai cori ingiuriosi dei livornesi all’indirizzo di Giuseppe Rossi, e all’assedio tifosi del Bologna (retrocesso in B) alla squadra costretta a rimanere negli spogliatoi dello stadio.

I cori razzisti non li citiamo. Perché oggi quel che ci preme dire è che avvertiamo un’aria troppo pesante, quasi irrespirabile attorno al nostro calcio. E, allo stesso tempo, siamo disperati nell’assistere a un establishment balbettante, che gira la testa dall’altra parte. Per non parlare dei mezzi d’informazione. Per un paio d’ore Fabrizio Bocca di Repubblica.it è stato il solo a dare rilievo agli striscioni dell’Olimpico.

Mettere la testa sotto la sabbia non ci salverà.

Signori del calcio e del governo, il clima d’odio che si è creato negli stadi italiani ha ampiamente superato il livello d’attenzione. Non vi siete resi conto che sabato scorso, con l’uso di una pistola, è stato abbattuto uno steccato che pareva essere insormontabile. Solo il caso ha evitato che ci fosse almeno un morto nove giorni fa a Roma. Dopo, può esserci soltanto di peggio.

«Finirà che ci fermeranno, com’è accaduto col calcio inglese», ha detto il commissario tecnico della Nazionale Cesare Prandelli. Difficile dargli torto. Ogni domenica ormai viene preparata sul campo e sui social come se fosse una battaglia. Non accorgersene oggi non può essere più considerato una responsabilità colposa. Siamo al dolo.

Qualcuno se ne renda conto. Graziano Delrio, Luigi Abete, Maurizio Beretta, Giovanni Malagò, tutti i presidenti delle squadre di calcio, e persino i giornalisti più autorevoli e influenti. La deriva sudamericana – nel vero senso della parola: in Uruguay ad aprile hanno fermato il campionato e in Argentina l’ultimo morto è di ieri – pare ormai inarrestabile. Svegliatevi. Perdonate la solennità, il tono disperato. Ma ci sentiamo come quelli che vedono un aereo arrivare da lontano, strepitano, provano a dare l’allarme eppure restano inascoltati. Di questo passo, manca davvero poco al giorno zero del calcio italiano.
Massimiliano Gallo

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