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Noi la maglia “Speziale libero” non la indossiamo

Ammettiamolo, non cambierà mai niente. Lo sappiamo fin troppo bene. Soprattutto chi, come tanti di noi, va allo stadio da tantissimi anni e sabato sera non ha vissuto nulla di nuovo. Non cambierà mai niente e la certificazione l’abbiamo avuta ieri quando, nel silenzio più assoluto delle istituzioni calcistiche, Andrea Agnelli si è accomodato in conferenza stampa e ha dichiarato: «Noi le tre stelle non le indosseremo perché i trenta scudetti li abbiamo vinti già da due anni anche se la giustizia non ce lo riconosce». Ora, in uno stato di diritto, Coni, Lega e Federazione direbbero: “O indossate le tre stelle o non partecipate al campionato”. Non accadrà. E intanto il richiamo tribale ai “suoi” ha funzionato.

Tranquilli, non sarà un articolo fazioso. Forse impopolare. Questa sera si torna a giocare e andrà in scena l’ennesima sfida: gli ultras del Napoli hanno fatto stampare non si sa quante magliette (c’è chi scrive 10mila, chi 30mila) con la scritta “Speziale libero”. Sarà l’emblema della sfida allo Stato e l’ennesimo atto di forza nei confronti delle società. Perché di questo si tratta. Stato e società di calcio che nel corso degli anni hanno girato la testa dall’altra parte, che sottopongono a controlli fino allo sfinimento un “normale” cittadino per una bandiera di Benitez o per le gocce medicinali e che invece consentono l’ingresso negli stadi di bombe carta. Che si sono ritirati dagli stadi e hanno lasciato che diventassero zone franche, dove vige la legge del più forte. E i più forti sono loro. Quelli che sabato sono entrati all’Olimpico con la violenza, hanno picchiato e sottratto il biglietto a chi lo aveva acquistato, e poi hanno intimidito chi voleva tifare e cantare per la propria squadra, per il Napoli. Quelli che anni fa imposero la legge della giungla a chi aveva passato una notte in fila per l”acquisto di biglietti di Champions. Davanti alle forze dell’ordine e nel silenzio assoluto di media e società calcio Napoli.

“Loro”, amici cari, non sono i romanisti né i veronesi né i fiorentini. “Loro” sono chi ormai considera lo stadio il proprio territorio, chi impone le proprie leggi, chi tiene in scacco le società (complici) e minaccia i tifosi “normali”. E noi non lo abbiamo scoperto certo sabato sera. Oggi suscita tanto clamore la “trattativa” con Genny ’a carogna che ha preteso di avere rassicurazioni da Hamsik sulle condizioni di Ciro Esposito. Accade da sempre. È ipocrita fare gli schizzinosi oggi. Successe nel 2004 nel famigerato derby del bambino morto; successe negli anni Settanta quando diedero un microfono a Rivera. E potremmo continuare a lungo. Il problema non è aver trattato con Genny. In quelle condizioni, in quella situazione, è stato il miglior comportamento possibile. Il punto è aver consentito che lui (e non solo lui) acquistasse questo potere.

La differenza, cari napolisti, che vi piaccia o no, è tra chi ama il calcio e vuole gioire, imprecare, sfottere e chi considera lo stadio un luogo di battaglia.

Lo so a cosa state pensando. Ma Ciro? Ci hanno aggrediti. Li hanno aggrediti. Hanno teso un agguato. Un regolamento di conti, probabilmente privato come si legge oggi su Repubblica, inscritto in una logica tribale. Siate onesti: se vi tendono un agguato e vi sparano, voi che cosa fate? Piangete, vi disperate, avete paura, chiamate l’ambulanza, oppure in dieci minuti organizzate la rappresaglia e quasi ammazzate di botte l’aggressore procurandogli fratture craniche e arrivando a un filo dallo staccargli il piede dalla tibia? Su, siamo onesti. Se cadiamo in questa logica del noi e del loro, non avremo alcuna speranza di riottenere il nostro calcio.

Per carità, il problema non possiamo risolverlo noi. E l’ipocrisia delle istituzioni (e delle società) è talmente evidente che non si intravvede nulla di positivo. Nessuno che in questi giorni abbia ricordato la vergognosa campagna delle società – guidata da Adriano Galliani e alimentata dalla grancassa mediatica di Fabio Caressa e Sky Sport – contro la discriminazione territoriale. Secondo voi perché lo hanno fatto? Perché erano minacciati dagli ultras. Le società sono da sempre sotto scacco. E l’unico presidente che ha avuto il coraggio di ribellarsi si chiama Lotito e quasi viene deriso dal sistema calcio. E ricordiamo che anche i nostri ultras cantarono, per solidarietà, il coro “Colerosi, terremotati” al San Paolo. È un movimento eversivo. Questo è. Che non viene combattuto, anzi viene alimentato. Poi ci saranno anche altri codici, per carità. Ma per noi chi va allo stadio con le bombe ha un altro obiettivo.

Oggi purtroppo a Napoli ci stiamo focalizzando sul trattamento discriminatorio ricevuto dalla nostra città. Ma come? Abbiamo avuto un ferito gravissimo e ci attaccano per Genny la carogna? Genny la carogna purtroppo risponde perfettamente al cliché della “bella storia” da raccontare: figlio di un affiliato alla camorra, fisiognomica giusta, maglietta adeguata, soprannome sublime. C’è tutto. Va sempre messo nel titolo. Può essere avvilente che abbia fatto più notizia Genny del neonazista che lungo il percorso che sarebbe dovuto essere controllato dalla polizia spara a tre tifosi e quasi ne ammazza uno. Ma, pensateci, così stiamo ragioniamo per bande. Come se fossimo in guerra. E no, noi non siamo in guerra. Noi vogliamo solo andare allo stadio e non essere vessati, non avere la paura che ci succeda qualcosa. Noi vorremmo poter guardare le partite coi tifosi avversari e sfotterci e magari dopo bere insieme. E poi magari dovremmo riflettere che faccia più notizia la “trattativa” con un capotifoso che un agguato tra ultras. Agli scontri – che siano agguati o meno – ormai l’informazione si è assuefatta.

Qualcuno starà ridendo, qualcun altro avrà già cambiato articolo. Ma questo è il punto. Ripetiamo, il “noi” e “loro” non è napoletani e romanisti. No, è chi va allo stadio non armato e chi ci va armato; chi va allo stadio con la bandiera e chi con le bombe. È tra chi questa sera vorrebbe andare allo stadio vestito come gli pare e chi gli imporrà di vestire la maglia “Speziale libero”. Non facciamoci trascinare in una logica tribale che non deve appartenerci. E lo diciamo noi che da un anno, quasi in solitudine, denunciamo quel che accade negli stadi italiani per la discriminazione territoriale. Questa battaglia si può perdere, per carità. Ma combattendola sempre dalla stessa parte. E la parte del Napolista è quella di chi sabato sera ha gridato “scemi scemi” a chi dalla nostra curva lanciava bombe carta. E, così completiamo il quadro, anche di chi l’inno non lo ha fischiato.
Massimiliano Gallo

p.s. a proposito, al di là delle sentenze – che pure contano – sappiamo dei dubbi sulla reale dinamica della morte di Raciti, ma sappiamo anche che Speziale era lì con una spranga in mano e lo aveva colpito. C’è una richiesta di revisione del processo. Se qualcuno deve avere giustizia, la avrà in tribunale. Ma noi diciamo altro: i processi non si fanno negli stadi, non si fanno con la violenza. Negli stadi si gioca a pallone.

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