ilNapolista

È tanto rassicurante se gli ultras non c’entrano e lo hanno accoltellato “solo” in quanto romano?

Notizie oggi ce ne sono poche. Il giovane romano accoltellato sabato notte al centro storico di Napoli è tornato nella sua città. Ha lasciato il lavoro all’albergo di Romeo, in via Cristotoforo Colombo. La Digos proseguirà le indagini per stabilire quanto c’entri il calcio con l’aggressione; quanto sia veritiera la versione del ferito; se è opera o meno di tifosi organizzati e, di conseguenza, se può essere battuta la pista della vendetta per Ciro Esposito. E qui siamo al punto. Che a mio avviso porta tutti noi fuori strada. Non sappiamo cosa sia accaduto nella notte tra sabato e domenica. Una delle piste alternative è che al giovane cuoco avrebbero intimato di lasciare il lavoro in quanto romano: “vai a lavorare a casa tua”. Domando: è tanto tranquillizzante questa versione? In cosa ci tranquillizza? Nell’assenza dei cosiddetti ultras? E perché? Perché un’aggressione del genere non deve invece essere considerata più grave di una vendetta tra gruppi di tifosi? Un movente del genere sarebbe invece la prova che l’odio tra le due città, tra le due tifoserie in senso ampio (perché non esistono solo gli ultras) ha raggiunto un punto di non ritorno. Saremmo giunti alle aggressioni dei leghisti agli extracomunitari: “va’ a lavorare a casa tua”. Che cosa ci sarebbe di rassicurante in questa versione? Ben poco. La verità è che basta farsi un giro sui social network, o comunque farsi una chiacchierata con un po’ di giovani tra i venti e i trent’anni, per comprendere che la situazione è ampiamente sfuggita di mano. Che dev’essere recuperata non solo dal punto di vista di tifo calcistico, ma soprattutto dal coté sociale. Qualcuno sorriderà se parliamo di emergenza. Soprattutto in un momento come questo, in cui un ragazzo di 14 anni sta lottanti tra la vita e la morte per un calcinaccio caduto dalla Galleria Umberto. Ma l’odio coltivato da un paio di generazioni di romani e napoletani è un problema da non sottovalutare. Di cui potremmo pagare le conseguenze in questa estate: da Terracina a Ibiza, per non citare tutti i luoghi di villeggiatura. È aberrante l’idea – se confermata – che un romano non possa circolare liberamente a Napoli. Così come il contrario. È ben più grave di una rivalità, di un odio tra due tifoserie. È la tracimazione della violenza dall’alveo calcistico. In questo caso gli ultras, il tifo organizzato, c’entra ben poco. Forse è il caso che le istituzioni, la scuola, la politica, riflettano seriamente su quel che sta avvenendo. Archiviare quest’ondata di odio alla voce “calcio” o “ultras” rischia di rivelarsi pericolosamente riduttivo.Massimiliano Gallo

ilnapolista © riproduzione riservata