Ora finalmente è chiaro a tutti che i romani sono pazzi. Qualcuno in settimana non aveva creduto alle parole di chi a Roma vive da sette anni. “La Lazio neanche la gioca la partita; non sia mai pareggiano, i tifosi se li mangiano”. E così è stato. Surreale, antisportivo, dite quelle che volete voi, ma divertente. E, soprattutto, romano. Tipicamente romano. Sono storie loro, che noi non potremo mai capire. La scorsa settimana siamo andati da mangiare da Agustarello, tempio della cucina romana a Testaccio. Lui, Sandro, il titolare figlio d’arte, è laziale e comunista. L’altra sera, in un momento di pausa dai fornelli, mentre fumava il suo inseparabile Toscano, ci ha detto: “Oggi pomeriggio mi sono messo qui fuori e mi sono interrogato: Sono più laziale o antiromanista?”. Ci ha guardato, ci ha sorriso e poi ha concluso ghignando: “Non ho trovato una risposta”. Per poi aggiungere: “Ma se fossi stato a Roma questa domenica, sarei andato allo stadio con la maglietta dell’Inter”.
Noi non possiamo capire cosa voglia dire vivere un anno circondati da chi canta dalla mattina fino a notte fonda “siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi”. Al bar la mattina, in ufficio, al supermercato, dal dottore e poi per strada fino a notte fonda. Con l’aggravante che sarebbe stata proprio la Lazio a cucire lo scudetto sulle maglie giallorosse. E questo per mesi, almeno a Testaccio. Dove, durante i festeggiamenti del 2001, l’ingresso al quartiere venne consentito solo dove aver baciato l’abbonamento della Roma.
Non sarà stata una serata di sport, ne convengo. Ma è stata una serata di calcio, di popolo. Meno Sky, più vita vera. Forse non sarete d’accordo, ma io mi sono divertito.
Massimiliano Gallo
Ha perso il calcio di Sky
Ha vinto il calcio di popolo
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