Leggendo di e su Maradona in questi giorni mi è sembrato naturale saccheggiare un mio articolo apparso su Il Mattino un po’ di tempo fa. Giusto per offrire un contributo alla discussione intorno ad un personaggio mitico del calcio. Un personaggio che a me è sempre apparso un gigante con i piedi di argilla.
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Maradona, Maradona sempre lui. Esagerato anche nelle banalità. Non credevo ai miei occhi quando lo ho visto a bordo campo. Con indosso un vestito di un kitsch che più kitsch non si può. Ma lui è “un esagerato”. Lo è sempre stato. In tutto. Nell’ineguagliabile bravura come calciatore. Nella correttezza in campo. Dove pur gli avversari lo riempivano di botte. Nel vano tentativo di contenerne la genialità. Esagerato nell’uso di un linguaggio provocatorio. A volte insultante. Nel dissipare gli immensi guadagni. Nel fare solenni giuramenti di redenzione dai vizi. Nel ripiombare nel baratro con grande clamore. E’ questo il suo modo di essere. Sia chiaro nulla dell’eroe romantico. O della stanchezza di vivere dell’esistenzialista. Ma a mio avviso è un errore crocefiggerlo sul piano umano con valutazioni di carattere etico.
Un eterno ragazzino immaturo. Del tutto privo di istruzione. A soli 18 anni un mito dello sport più amato del mondo. Trasformato in una divinità. Era inevitabile che esplodessero le contraddizioni. Legate al suo temperamento. Ed al suo deficit culturale. Strappato alle suburre argentine da un sinistro di Dio, approdò in Spagna. Seguito da una corte di famelici procuratori. Di consiglieri interessati. Da una moltitudine di chiassosi familiari. Tutti a suo carico. Una corte dei miracoli insomma. Una miscela di sfruttatori e di mangiapane a tradimento. In Spagna una esperienza turbolenta. Tra un grave incidente. Pessime amicizie. E… la cocaina. Cosicché dovette lasciare ben presto Barcellona. Poco più che ventenne. Ed arrivò, grazie all’abilità di Juliano e Ferlaino, nella città del sole. Lo accompagnavano il solito pulviscolo di volti lombrosiani. E… la cocaina. Napoli lo divorò immediatamente. E lui divorò la città. Le manifestazioni di entusiasmo al suo arrivo furono incredibili. Ed interclassiste! Giornalisti e industriali. Cittadini comuni e intellettuali. Compagni di squadra e umili tifosi. Tutti impazziti (giustamente) per le sue giocate in campo. Gli perdonavano le trasgressioni fuori dal campo. Eccessi di ogni tipo. Incompatibili con la vita da atleta.
Lui certo non capiva che cosa stava combinando. Aveva un minimo di strumenti culturali per guardare in faccia la realtà? Di capacità autocritica? Credo proprio di no. A parte lo straordinario talento naturale che ne ha fatto il più grande calciatore di ogni tempo, Maradona non aveva altri strumenti. Forse nemmeno il semplice buonsenso. La realtà gli appariva falsata tra i fumi dell’adulazione collettiva. Fino a farlo sentire “legibus solutus”. E intorno a lui il cinismo… Penso ai soggetti che a vario titolo interagivano con il “pibe de oro”. Impegnati a utilizzare la gallina dalle uova d’oro. Insomma miserie umane. Alla fine delle quali paga il più debole. Sul piano culturale e umano. Tornano alla memoria le sue fantastiche esibizioni. Che hanno regalato agli amanti del calcio immagini ineguagliate. Forse ineguagliabili. Ciò dovrebbe provocare almeno un po’ di rimorso in quanti, in particolare qui da noi, lo hanno sfruttato sempre. Ed aiutato mai. Un talento, per certi versi, innaturale. Gestito da un demone beffardo. In un mondo dove il gioco, la pura esibizione della bellezza, è quasi inesistente. Asservita a interessi, leciti e talvolta illeciti. Un talento incommensurabile che una fragile umanità non è mai riuscita a governare. Questo il mistero che affascina. Il mistero che ha meritato approfondimenti giornalistici, documentari, libri, dibattiti. Ed anche un film.
Certo a fare il c.t. lui che non ha mai amato tattiche ed allenamenti … con il vestitone kitsch …mi fa quasi tenerezza. A proposito di film non so perché mi vien da pensare a “L’angelo azzurro”
Chicchirichì…… No, questo proprio non è giusto!
Guido Trombetti