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Quando il nostro Godot
si chiamava Palmer

D’accordo, gli azzurri erano stanchi. A brevissima distanza dal gran ritmo sostenuto a Genova, un po’ di fiacca era inevitabile. La sconfitta del Napoli a opera del Chievo è frutto di un diverso livello di prontezza e lucidità. Il fatto è che il calcio di oggi punta sulla velocità e sull’intensità della corsa, dal primo all’ultimo minuto. Anche la vittoria del Palermo a Torino ha mostrato come si possa superare la squadra avversaria se la rapidità della manovra, dei lanci, degli smarcamenti, dei tiri, si mantenga sempre su livelli alti. Gli altri fattori (classe, precisione, mira buona, freddezza nel colpire il pallone, intuito e così via ) vengono subito dopo la freschezza fisica. Ma certo nessun ritmo può avere sicura efficacia senza i fattori successivi. E senza che in campo (centrocampo) non ci sia chi sappia dare a quel movimento incalzante un indirizzo, una visione generale, un avvio sui corridoi che portano alla porta avversaria. Registi. Giocatori dai “piedi buoni” . E con una elevata tenuta psico-fisica, oggi si direbbe. Per il Napoli, questa necessità del gioco moderno è sicuramente avvertita. Prova ne sia che per tutta l’estate la riflessione, sui giornali e tra i tifosi, su possibili nomi nuovi per il centrocampo è stata costante. Di certo, anche nella società l’obiettivo è stato valutato e studiato, però senza esito nella campagna acquisti. Difficoltà di mercato, richieste esose, mancanza di candidati convincenti, chissà. Dirigenti e allenatore sanno quel che fanno, anche alla luce dei risultati complessivi, e fino a prova contraria. I centrocampisti oggi di ruolo sono di rispettabile caratura ma la questione va oltre: si tratta della necessaria aderenza all’idea di un gioco che si regga sui nuovi equilibri imposti dall’evoluzione del calcio. Una realtà che pone in termini precisi la ricerca dei calciatori adatti a valorizzare, nel gioco, le migliori energie di cui la squadra dispone. Energie che devono poi essere ben dosate lungo il tempo, per evitare che i molti impegni cui vengono ora chiamate le squadre di livello creino stanchezze e cedimenti. Quando ciò accade anche le regole antiche del pronostico vengono sovvertite. E può accadere che una squadra vada in altalena, da una prestazione brillante a un’altra scadente, a un’altra mediocre. Un’insidia che non riguarda solo il Napoli: basta guardare la classifica, che sembra quasi capovolta rispetto alle abitudini, eccezion fatta per l’Inter. L’importante è fare le scelte e dar loro seguito, nei limiti del consentito. Negli anni ’50 si giocava in altro modo. Per sfondare in attacco si puntava soprattutto sul centravanti in grado di segnare molti gol e su almeno una mezz’ala di classe, pronta a offrire il pallone con passaggi fulminei. Il Napoli aveva un gran centravanti, Hans Jeppson, record d’acquisto, i famosi 105 milioni. Mancava la mezz’ala. Amadei, in quel ruolo, era un calciatore a sé stante. Nel Legnano giocava Palmer, numero 10 svedese, amico di Jeppson. Per lungo tempo il suo nome correva nelle cronache come la prossima pedina: Jeppson-Palmer duo d’attacco, e i tifosi sognarono per mesi e mesi. Se ne parlò, se ne discusse, sembrava fatta. Ma Palmer non arrivò mai. E il Napoli perse un appuntamento importante per il calcio giocato in quei tempi. <strong>Mimmo Liguoro</strong>

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