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Samp e Chievo archiviate
tra poco si rigioca

<em>Caro Max, mi spiace doverti contraddire, ma non condivido le tue ipotesi sul calo di desiderio da troppo calcio riportate in breve successione sia sulle pagine de "Il Riformista" che su quelle [digitali] de "Il Napolista".
Non sono un massmediologo, quindi non mi soffermo sul perché ritengo che gli italiani non si stancheranno mai di guardare partite alla Tv. Mi limito a dire che a mio avviso anche per il football vale il meccanismo dei tormentoni musicali estivi (perché martellare con una canzone non stanca il pubblico, ma accelera le vendite?).
Ma non solo. Sono convinto che questa overdose di pallone comporti un effetto particolare, e che questo effetto abbia ricadute positive sulle nostre menti.
Mi spiego meglio con due esempi.
Il primo. Correva il campionato di serie A 2000/2001. Il Napoli neopromosso che aveva cominciato la stagione in maniera mediocre sotto la guida Zeman prima e quella Mondonico poi, si ritrova a giocare la prima gara post-natalizia in casa della Lazio campione d’Italia in carica. Clamoroso all’Oimpico! Una squadra in piena zona retrocessione espugna il fortino dei detentori del tricolore.
Inebriati dalla vittoria, narcotizzati dall’acquisto del funambolico Edmundo presentato in pompa magna al san Paolo, divertiti dall’epico autogol di Pancaro, avemmo 6 giorni per crogiolarci dei tre punti conquistati. Mentre la fantasia dei tifosi volava sulle ali dell’adrenalina, alcuni commentatori sportivi della città non si accontentarono di considerare il Napoli semplicemente più competitivo per la salvezza, ma parlarono di zona Uefa ancora a portata di mano (sic!).
Una settimana dopo, poi, perdemmo meschinamente in casa del Verona (Hellas, perché la favola Chievo ancora doveva nascere) e tutto ritornò sui propri binari. Fino alla retrocessione.
Il secondo. Vengo a tempi più recenti. Stagione 2004/2005, la prima del nuovo Napoli Soccer di Aurelio de Laurentiis. Una squadra raccogliticcia tra scarti e prestiti di club delle serie superiori guidata da mister Ventura parte nell’entusiasmo della gente. Presto però ci si rende conto che l’organico non è all’altezza per competere per la promozione diretta: la squadra tentenna tra alti e bassi fino a quando, il 31 ottobre, capitombola in casa contro il Chieti di Romito con il risultato di 1-2 (Terrevoli e Guariniello per i nero-verdi, il Pampa Sosa per noi).
Questa non fu né la prima né l’ultima delle figuracce del Napoli di Belardi, Berrettoni, Corrent, Varricchio&Co. La disfatta di Foggia (dove perdemmo per 4-1) fu pure peggiore. Ma dal punto di vista simbolico fu la più grave, perché vide il tempio maradoniano oltraggiato dalla rappresentativa di una città di cui la maggior parte dei napoletani conosceva a stento l’esistenza ignorandone l’esatta ubicazione geografica.
Ci vollero sette giorni di ulcere, epatiti e maldistomaci conditi da chiacchiericci vari su stampa, radio e Tv per metabolizzare la debacle, prima di godere del riscatto (si fa per dire) nel derby campano del 7 novembre contro il Benevento.
Questo lungo preambolo dove vuole arrivare?
Vuole dimostrare che il giocare ogni tre giorni un effetto positivo lo ha. Non c’è spazio per le riflessioni che diventano seghe mentali, per i discorsi che trapassano in elucubrazioni attorcinate, per le critiche da cui nascono rancori. Allo stesso modo non ce ne è per l’entusiasmo che diventa parossismo, per i complimenti che sfociano nelle marchette, per la soddisfazione che si traspone in un autocompiacimento che ricorda l’autoerotismo.
Così come abbiamo velocemente archiviato la sbornia del Marassi, in base alla quale ho sentito dire con le mie orecchie che "questo Napoli può puntare ai primi tre posti, e a quel punto tutto può succedere", così chiuderemo presto il capitolo Chievo.
Tra 72 ore si gioca. Se non ve ne siete accorti, è già il prepartita di Cesena-Napoli. Guardiamo avanti.
A proposito, ma quale formazione viene data titolare?
<strong>Roberto Procaccini</strong></em>

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