Ci balocchiamo con le partite ogni tre giorni, stanchezza e “rosa” ristretta, con la pressione (e la suggestione, no?) della scena internazionale, col dilemma coppa-campionato per giustificare il Napoli che non va. Ci balocchiamo con la beata gioventù per spiegare la scarsa maturità della squadra.
Consideriamo che se gli avversari si chiudono (Catania, Liverpool), e che altro dovrebbero fare?, stendere tappeti rossi?, è difficile sfondare, ma il Napoli in questo tipo di partite perde la bussola, non sa che cosa fare e vive di fiammate per forzare il match che gli sfugge. Ci sono dubbi sul valore di alcuni giocatori e constatiamo che qualche protagonista non è ancora entrato in forma. Ha illuso qualche partita d’impeto conclusa con un risultato favorevole (Sampdoria, Cesena, Steaua) e restano nella memoria le difficoltà contro Bari e Chievo, non solo la prestazione contro il Liverpool imbottito di “seconde linee” ma con una organizzazione di gioco precisa, tesa al controllo della partita. Motivi e alibi occasionali non spiegano tutto. Il motivo di fondo del Napoli che non è come lo sogniamo è uno solo: il Napoli è una mezza squadra, entusiasmante nelle giornate favorevoli, vuota in quelle contrarie. Ha un solo modo di giocare: all’attacco quando il trio delle meraviglie funziona e l’assiste la giusta furia agonistica. Non ha alternative di gioco. Non “ragiona”. Non ha il passo e l’intelligenza delle formazioni collaudate. Se non si avventa, non sa gestire le partite. Si “abbassa” e non sa congelare il gioco a metà campo perché non ha palleggiatori abituati a farlo. Quando gli avversari bloccano i riferimenti essenziali (il gioco sulle fasce, Hamsik), il Napoli non sa uscire dalle trappole tattiche. Lo illudono i guizzi di Lavezzi, l’attesa del “solito” gol di Cavani. Non ha specialisti sui calci piazzati che spesso decidono le partite. In un certo senso, il Napoli è una squadra “provinciale”, capace di imprese esaltanti e di partite “mosce”, per non dire sbagliate. La guida tecnica ha grinta e capacità di gestione (però con l’assillo di avere sotto mano solo fedelissimi), ma è giovane e nuova alle grandi platee e ai grandi appuntamenti, apparsa un po’ smarrita contro il Liverpool. In 12 partite disputate, il Napoli ne ha “centrato” due sul piano del gioco (le vittorie esterne con la Samp e il Cesena). Pretendere che il Napoli sia “grande”, quando non lo è, significa danneggiarlo, forzarne la natura, “spingerlo” dove non può arrivare causando una pericolosa delusione. Il problema non è un ritardo di “crescita”, da tre anni ormai giocano gli stessi campioncini, ma è un problema di “spessore”. Il Napoli non ha quei due, tre giocatori di talento, carattere ed esperienza che lo proiettino tra le formazioni maggiori. Non ha personalità e continuità di gioco. E’ una squadra eternamente verde, di belle speranze. Rattopparla a gennaio (come?) non ne cambierà la natura. E intervenire sulla formazione-tipo è problematico. C’è il rischio di “tagliare” le poche apparenti certezze, quei giocatori di talento ma di ruoli-non ruoli. E’ un Napoli da ripensare? Il futuro pone questo problema. Il presente attende smentite e, finché questa è la “musica”, bisogna sostenere questo Napoli nella buona e nella cattiva sorte. E’ tutto il calcio italiano, esclusa l’Inter, che non brilla.
Mimmo Carratelli
Il nostro Napoli
tra illusioni e realtà
Mimmo Carratelli ilnapolista © riproduzione riservata