Per l’incontro con i viola, la forchetta a centrocampo la dobbiamo incrociare… senza forchetta. I veri esperti di gastronomia, nonché quelli che parlano bene, lo chiamano “finger food”, diventato una sorta di manìa, piu che di moda: microporzioni di parmigiana di melanzane, carne, pesce, tartine minuscole da mangiare con le mani. Napoli Fiorentina si gioca alle ore 18, orario inconsueto e che rivoluziona le abitudini alimentari sia degli atleti sia di noi della “tribuna divano”. Tardi per pranzare, presto per cenare. Poiché sono un finto esperto e nemmeno parlo bene, levo le “fingers” (dita) dal lessico culinario e dico: guagliù, magnammo cu ‘e mmane! E per non rompere le scatole alle mogliere – o non perdere tempo noi maschietti, se appena ci dilettiamo ai fornelli – suggerirei di mettere in prossimità della televisione un angolino su cui appoggiare, naturalmente a scelta, non tutto: taralli di Tonino al corso Secondigliano o di Leopoldo in via Foria; pizzette di Moccia in via San Pasquale, che costano 1,80 ciascuna ma sono una incredibile leccornia; tortanielli di Poppella alla Sanità; frittatine di maccheroni di Luise in via Santa Caterina a Chiaia; pasticceria mignon di Volpe in viale Colli Aminei. Da bere, se volete essere perfetti padroni di casa e di divano, ci vuole un po’ tutto: acqua, vino bianco e rosso – suggerisco prosecco di Valdobbiadene e Nero d’Avola – coca e birra (sul tarallo è obbligatoria per decreto legge e non c’è legittimo impedimento che tenga). Al triplice fischio, non prima, quando li avremo fatti viola che più viola non si può, si può prendere dal freezer il limoncello ghiacciato di Gabriele a Vico Equense e l’Asti Cinzano. Una volta lavateci le fingers e le mani, meglio se strofinandole sul pullover dell’amico juventino appositamente invitato, tutti ad azzannare una bella fiorentina da Steak House al Vomero oppure alla Fattoria del Campiglione a Pozzuoli. Si sarà fatta ora e ce li dovremo mangiare per la seconda volta. Buon appetito e forzaNapolisempredovunquecomunque
Giuseppe Pedersoli
P.S. con cibi latini
Mia sorella Daniela, anni fa, ospitò alcuni amici nordici che, come da manuale, fecero il giro turistico della città. Tornati a casa, le chiesero: “Ma cos’è quel cibo latino che vendono anche alcune bancarelle”? – “Quale cibo latino”? – “Un certo opereomus”. “…Opereomus? Ma siete sicuri?”. Daniela insegna italiano e latino ma proprio non riusciva a capire cosa fosse questo “opereomus”, presunta pietanza degli antichi romani. Ad un certo punto, colpo di genio e tante risate: si trattava di “’o pere e ‘o musso” di maiale, servito in genere con la “trippa” e condito con olio, sale, pepe e spruzzata di limone. Se ve la sentite, addobbate un “angolo latino” con un bel vassoio di “opereomus”, magari acquistato da Fiorenzano alla Pignasecca. Però poi la fiorentina, dopo, non ce la vedo tanto.