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Cavani secondo la teoria dei vantaggi comparati

In molti casi la teoria economica formula “leggi” intuitive, cioè note a tutti in base all’esperienza. Gli studiosi le formalizzano, le sviluppano, ma spesso aggiungono poco a ciò che tutti sanno istintivamente. Ci sono casi, però, in cui la scienza economica è arrivata a conclusioni logico-analitiche contro-intuitive. Uno dei più clamorosi è quello della teoria dei vantaggi comparati, formulata da David Ricardo nel 1817 per la spiegazione dei vantaggi degli scambi internazionali. È una teoria antica, eppure non è di dominio comune, nel senso che non viene istintivamente colta.
Il suo principio fondamentale, appunto quello dei vantaggi comparati, può essere esteso, adattandolo, alle scelte dei compiti che devono svolgere le persone, anche nel campo dello sport. Vediamone allora brevemente il senso, per poi cercare di applicarlo al caso dell’utilizzo di Cavani, a mio avviso il giocatore attualmente più importante del Napoli.
Se dobbiamo scegliere come suddividere dei compiti tra due o più persone, istintivamente pensiamo che dobbiamo affidarli a chi sa assolverli meglio degli altri.
Se qualcuno è più bravo in qualcosa e qualcun altro in qualche altra cosa, la divisione del lavoro è ovvia: ognuno fa ciò che sa fare meglio dell’altro.
Tuttavia, capita comunemente che ci sia qualcuno che è più bravo degli altri in diversi compiti (se non in tutto). L’intuizione ci porta a sostenere che questi dovrebbe fare tutto ciò che sa fare meglio degli altri.
Tale soluzione appare ovvia ma non lo è, perché non considera un altro aspetto cruciale: colui che è più bravo in più cose non è detto che lo sia allo stesso modo. Ovvero, egli è in assoluto più bravo ma ciò non vuol dire che non sia più bravo ma molto più bravo in qualcosa e più bravo ma di poco più bravo in qualcos’altro. Se si considera questo, il discorso cambia: si apre la strada alla specializzazione del più bravo in ciò che fa meglio ma molto meglio, lasciando fare a un altro ciò che il più bravo farebbe meglio ma solo poco meglio. In tal modo il sistema ci guadagna, perché, impiegando il più bravo in compiti nei quali è solo di poco più bravo, si guadagna qualcosa ma si perde di più perché egli non viene utilizzato a tempo pieno nel fare quello in cui la differenza tra il suo fare e quello degli altri è più ampia.
Paul Krugman – premio Nobel per l’economia nel 2008 – per far comprendere più agevolmente agli studenti il senso della teoria dei vantaggi comparati, in un riquadro del suo manuale di Economia internazionale riporta il caso della scelta del ruolo di un campione di baseball.
Babe Ruth, la cui carriera sportiva si svolse nei decenni dieci e venti del secolo scorso, è ritenuto da molti il più grande battitore della storia del baseball. Era tanto bravo nel battere che all’apice della sua carriera nessuno pensava che fosse anche capace di lanciare. Ebbene non era così: Babe Ruth era anche un ottimo lanciatore ma aveva smesso di lanciare nel 1918, proprio in ossequio al principio dei vantaggi comparati, che il suo allenatore applicò sicuramente senza averlo mai studiato.
Il problema era che Babe Ruth era più bravo di tutti nel lanciare ma non di molto, era invece di molto più bravo di tutti nel battere. Facendo tutte e due le cose, perdeva parecchio nella battuta, ciò che sapeva fare meglio ma molto meglio degli altri, e questa perdita non era compensata dai punti in più che otteneva lanciando, dove era sempre il più bravo della squadra ma di poco.
Il suo allenatore decise allora di specializzarlo nella battuta: dal 1918 Babe Ruth non lanciò più e diventò un mito della storia del baseball. Se avesse continuato anche a lanciare, probabilmente non ci sarebbe riuscito.
Applichiamo lo stesso principio al caso dell’utilizzo di Cavani.
Come in ogni ragionamento economico, per cogliere il cuore del problema è necessario fare delle astrazioni dalla realtà, in modo da sfrondare il campo da troppi elementi, senza però invalidare l’interpretazione delle cose.
Prendiamo allora in considerazione solo due compiti degli “attaccanti moderni”: “fare goal” e “rientrare per aiutare la difesa”. Assumiamo che Cavani sia in assoluto il più bravo degli attaccanti del Napoli sia nel “fare goal” sia nel “rientrare per aiutare la difesa”. La logica istintiva (dei vantaggi assoluti) ci consiglierebbe di attribuire a Cavani entrambi i compiti, come infatti succede.
Analizziamo la cosa secondo la logica dei vantaggi comparati. Supponiamo che Cavani sia più bravo ma molto più bravo degli altri attaccanti nel “fare goal” e più bravo ma poco più bravo nel “rientrare per aiutare la difesa” (quantomeno non tanto quanto nel “fare goal”). Se così stanno le cose, giungiamo alla stessa conclusione del caso di Babe Ruth: all’allenatore conviene specializzare Cavani nel “fare goal” e attribuire a qualcun altro il compito di “rientrare per aiutare la difesa”. Così facendo, il Napoli subirebbe qualche goal in più, non essendoci Cavani ad aiutare la difesa ma un altro attaccante meno bravo di lui in questo compito, ma il numero di goal in più subiti sarebbe inferiore al numero di goal in più segnati da Cavani, il più bravo di tutti, e di molto, nel farli. Tutto ciò perché la differenza di bravura tra Cavani e gli altri attaccanti nel “fare goal” è più grande che nel “rientrare per aiutare la difesa”.
Quindi, converrebbe specializzare Cavani “nel fare goal”, non costringendolo più a defaticanti rientri in difesa, che inevitabilmente gli fanno perdere lucidità nell’area avversaria.
Tutto ciò contrasta con il “credo” del calcio moderno, dove ai giocatori si chiede di saper fare tutto. Il principio dei vantaggi comparati conduce alla conclusione che il calcio di una volta con ruoli più definiti (elevata specializzazione) era probabilmente più “logico” di quello di oggi, perché piuttosto che far fare tutto (o molte cose) a ogni giocatore, si specializzavano i singoli in ciò che sapevano fare meglio ma molto meglio e si curavano di più le sinergie di squadra. In altri termini, il complesso dei compiti era attribuito al “gioco di squadra”, con i singoli specializzati in poche cose, quelle in cui godevano di vantaggi comparati.
Un’avvertenza dovuta: la teoria dei vantaggi comparati, come ogni teoria, spiega bene aspetti importanti, a volte fondamentali, della realtà ma non tutta la realtà, che è sempre più ampia e complessa degli schemi analitici utilizzati per interpretarla. In pratica, in questo esercizio è come se avessimo usato un’ottima cartina geografica ma ben sapendo che essa, per quanto buona, è pur sempre solo una rappresentazione schematica del territorio, non il territorio stesso.
Giovanni Mastronardi

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