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Cosa sarebbe di Napoli se ci fosse un derby?

Ieri, a pranzo, si parlava di derby, quella cosa strana e rituale che qui a Napoli non abbiamo. E per fortuna, perché qui probabilmente ci faremmo davvero la pelle a vicenda. Però mi piacerebbe viverlo, un derby, sentirlo addosso, intendo, partecipare. Vabbè, considerazioni a margine. Nel discorso sui derby è venuto fuori il ricordo di una partita in particolare, Torino-Juventus del 27 marzo 1983, una partita che Zoff, a distanza di vent’anni, continuava a definire la sconfitta più bruciante. Ora, il fatto che siano stati un laziale ed un napoletano a parlarmi di quello specifico derby mi ha già fatto brillare gli occhi: il vostro universo, maschi, ha dell’incredibile, al pari del nostro ma per ben altre vie. Quando poi ho visto il filmato su youtube mi sono proprio emozionata e allora eccomi qui. Una bellissima giornata di sole primaverile. Sessantacinquemila spettatori. Il 127° derby della storia torinese. Cinque partite alla fine del campionato. La Juve e la Roma si contendono lo scudetto distanziate da 3 punti. La Juve affronta il Torino sperando di avvicinare i giallorossi impegnati a Firenze. La Juventus dei principi contro il Torino dei poveri, così l’hanno definito il derby torinese, quei due, ieri. Il Torino squadra giovane, dove i più vecchi sono Dossena e Zaccarelli. La Juve fa paura solo a sentire quei nomi: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Bettega, Tardelli, Rossi, Boniek, 5 campioni d’Europa e calciatori nazionali. Il primo tempo finisce con il Toro sotto di un gol, quello che al 12° ha segnato Paolo Rossi. Ma il Toro non si spaventa, non si considera ancora vinto e, nell’intervallo, Dossena fa la sua dichiarazione d’intenti: gli abbiamo regalato un gol, adesso c’è il secondo tempo e dobbiamo cercare di recuperare, sono saltati tutti gli schemi tattici, ma ora cercheremo di vincere la partita. Il toro non molla mai. Inizia il secondo tempo e la caparbietà di Dossena sembra essere smentita dagli eventi. Zaccarelli stende Boniek in area e la Juve guadagna un rigore. Lo trasforma Platini e la Juve raddoppia. È a questo punto che nella testa dei granata scatta qualcosa e, fuori, una reazione spaventosa. Galbiati toglie palla a Scirea e crossa per Dossena che, di testa, infila la porta di Zoff. Poi è la volta di Bonesso, che segna il gol del pareggio. Bersellini punta il dito verso il cielo “lo dicevo che lassù qualcuno ci avrebbe ascoltati”, dirà più tardi. Ma il Toro non si ferma qui. Zaccarelli passa palla a Van de Korput, che mette in mezzo, Torrisi raccoglie al volo e segna il gol del 3-2. Tremendismo granata. Il tutto nel giro di 3 minuti e 40 secondi. Alla fine della partita Dossena dirà: “erano sicuri di sbranarci, non conoscevano il cuore del Toro”. Quella domenica, la Roma pareggia a Firenze 2-2 e si porta a +4. Trapattoni infuriato, Agnelli incredulo, alcuni juventini ancora oggi fanno finta di non ricordare, Paolo Rossi battezzerà suo figlio Alessandro, come Bonesso. Insomma, uno spettacolo. La dimostrazione che veramente tutto è possibile e che il calcio è uno stato mentale. Nell’emozione – dopo aver rivissuto in un secondo tutte le sensazioni provate a Napoli-Lazio 4-3 – ho persino pensato che quel Torino poverello e giovane potrebbe essere paragonato al nostro Napoli e che quel “derby” ce lo stiamo giocando noi contro lo squadrone ricco del Nord berlusconiano. Bè, se un dio del pallone veramente esiste non può non guardare a chi se la passa peggio. Non può non favorire i poveri e neri del Sud del mondo. Sarebbe oltremodo ingiusto se non fosse così. Non dipende da noi, non dipende solo da noi. Non basta volerlo con tutte le forze né combattere fino alla morte per questo. Ci vuole la botta di culo finale, come sempre nella vita. Un miracolo. Ma per la miseria, mentre aspettiamo la botta e ce la giochiamo tutta sul campo, preghiamo tutti insieme quel dio. E gufiamo fino alla morte. E Forza Napoli. Sempre.
Ilaria Puglia

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