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Addio Mazzarri, spero che quando tornerà nessuno le regali un mazzo di fiori

Caro Mazzarri, è stato ieri sera nei commenti a caldo della sofferta partita col Genoa. Lei aveva d’incanto la chioma asciutta e gonfia, non più fradicia per l’acqua dell’ultimo sabato di aprile. Ed è stato come in quella canzone di Lucio Battisti: “Un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso Il nostro amor dissolversi nel vento ricordo sono morto in un momento”. Lei aveva appena ricordato, guarda caso, il precedente di Delneri alla Juventus. Ha detto, testuale: “Lo scorso anno Delneri si sapeva già da tre mesi dovesse andare via eppure nessuno ha fatto questo tam tam”. In quel momento, tanti come me hanno capito che lei andrà via e andrà, purtroppo, alla Juventus. Un altro caso Quagliarella, anzi peggio. E tenterò di spiegarle perché. Con una doverosa premessa: questa è una lettera preventiva d’addio, prendendo a prestito la dottrina bellica di Bush, e ha pure una funzione scaramantica. Magari lei rimarrà e la lettera diventerà carta straccia. Ne sarei felice. Ma non ne sono convinto. E’ un tarlo che mi rode da un paio di mesi, da quando cioè il quotidiano sportivo di Torino ha iniziato la campagna bianconera in suo favore. Lei viene descritto come un nuovo Mourinho italiano, un grande e sanguigno motivatore seppur con scarsa esperienza internazionale. Su questo ultimo punto converrà, nonostante la sua vanità permalosa. Nello spogliatoio azzurro ha sistemato uomini, clan ed equilibri come non era riuscito a Reja e figurarsi a Donadoni, bravo allenatore ma con un rapporto autistico con la squadra (un carattere che può funzionare in Svizzera ma non a Napoli). Il suo unico limite, anche ontologico, che evidenzia una mentalità provinciale, è stato Aronica, mediocre gregario che sa usare meglio le mani che i piedi. Ma soffermiamoci sui meriti. Lei ha fatto un miracolo. Come ha scritto argutamente Oliviero Beha sul quotidiano dove lavoro, lei aveva un organico pari se non inferiore a quello di Fiorentina, Lazio, Udinese, tanto per fare degli esempi. Eppure è lassù, in bilico tra il secondo e il terzo posto, grazie alla spinta propulsiva di un ragazzo sudamericano che a Napoli si tiene lontano da pub, discoteche, zoccole e risse. Ci ha anche regalato per brevi settimane il sogno di quella cosa innominabile, poi svanito in due partite sciatte e strane su cui potremmo esercitare la nostra dietrologia. Adesso è il primo maggio, mancano tre giornate alla fine e invece di essere contenti siamo confusi e incerti. Il timore è che un ciclo sia finito, anche se lei proprio lo scorso anno firmò fino al 2013 per dare un segnale di stabilità. Che cosa è successo nel frattempo? Si possono fare una serie di supposizioni ma una cosa è certa: a differenza di Quagliarella lei va via di sua spontanea volontà. L’attaccante stabiese, anche per colpa sua, ebbe un approccio problematico con lo spogliatoio e la società e fu messo in condizioni di andarsene. Lei no. Lei sceglie deliberatamente di non far coincidere il suo destino con quello di un popolo di tifosi unico al mondo. E’ questo il punto che mi sta a cuore di più. Tiro in ballo il classico precedente di Diego, che avrebbe potuto giocare solo a Napoli e non altrove. Ma lei non è argentino, è toscano. E la sua ambizione non le consente di distinguere tra la nostra anarchia, spesso lazzarona, e il potere eternamente democristiano dei più forti, che sia bianconero o rossonero o nerazzurro. Diego ribaltò ed esaltò in positivo quella frase del professore nell’Ulisse di Joyce: “Fummo sempre fedeli alle cause perse”. Ma lui fu un’eccezione della Storia e forse il paragone è sprecato, come penserà qualcuno. Per me no, perché lei era la persona giusta per una nuova parabola vincente. Le concedo una sola attenuante: aver capito che il Presidente, rimasto ieri in eloquente silenzio, non ha intenzione di salire ancora più in alto. Del resto nemmeno noi abbiamo mai compreso i suoi piani: una volta il campionato mondiale in Cina o negli States, poi il campionato europeo, e via con altre astruserie. A DeLa stanno a cuore soprattutto i soldi, da guadagnare ovviamente, come dimostra il pugno a Lotito sui diritti tv. Ormai il calcio è questo, ma le scelte irrazionali e di cuore restituiscono un po’ di poesia a noi tifosi ignari e ingenui. Lei invece vuole decidere razionalmente. Faccia pure, ma quando ritornerà a Napoli da allenatore avversario spero che a nessuno salti in mente di donarle un mazzo di fiori. Lei non merita i brividi provati da Reja un mese fa. Le dico addio, con anticipo. Fabrizio d’Esposito

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