Chiedo scusa ai napolisti che la pensano diversamente, ma io non riesco ad appassionarmi alla partita di stasera con l’Inter. Come già scritto da Gallo, non me ne frega nulla del secondo o terzo posto. Certo, il congedo dal proprio pubblico al termine di una stagione in ogni caso eccezionale è evento importante e nobile, ma per me non è qui la festa. Se proprio voglio smuovere un po’ di adrenalina nella mia passione, la testa, il cuore e soprattutto la pancia vanno alla prossima con la Juve, epilogo che nessuno di noi poteva immaginare fino a qualche mese fa: Mazzarri diviso tra il passato e il futuro. L’incapacità di godermi il presente a prescindere da tutto è un limite che mi angoscia da una vita. Ho vissuto la golden age di Diego sempre allo stadio, in curva B al San Paolo e in trasferta, eppure ogni volta che lo vedevo danzare sull’erba e ricamare parabole con la palla, c’era una strisciante inquietudine sullo sfondo: “Cosa farò quando non ci sarà più?”. Adesso il nodo che mi tormenta è capire che squadra faremo per la Champions e il campionato, dopo che lo strappo di Mazzarri ha inondato di dubbi la progettualità del presidente. A questa domanda ne ho collegata un’altra: che cosa c’è dietro all’endorsement di DeLa per il candidato sindaco del centrodestra a Napoli, l’industriale Lettieri? Prendendo spunto dal corsivo di Emanuele Macaluso, direttore dell’ex quotidiano mio e di Max, mi sono chiesto: perché Dela non ha agito in proprio come a suo tempo don Achille Lauro, prototipo del berlusconismo anni sessanta (ma meglio di lui, assai meglio, e lo dico da sinistra, non nascondendomi che il mio bisnonno era fratello di donna Maria Laura Cafiero, mamma del Comandante)? Ed è per questo che ci ho lavorato su con un bel po’ di telefonate e incontri in questa settimana che si chiude. Una volta tanto ho chiamato le mie fonti politiche non per il giornale su cui scrivo, ma per passione. Una sensazione strana. Ma ho ricostruito il film. La prima scena me l’ha raccontata un autorevole esponente nazionale della maggioranza. E risale ad alcuni mesi fa, quando il candidato sindaco del Pdl a Napoli non era stato scelto e Nicola Cosentino si ricredeva su Lettieri (alle regionali gli aveva sbarrato il passo a favore di Caldoro) per evitare l’onta dell’investitura di Mara Carfagna, sua nemica interna. La mia fonte era nello studio di Berlusconi a Palazzo Grazioli, la residenza romana del Cavaliere, e i due facevano un punto settimanale della situazione. Il discorso cadde sulle candidature per le amministrative e il premier disse: “A Milano la riconferma della Moratti è scontata, il vero problema è Napoli, lì il partito è diviso e litiga ferocemente”. L’interlocutore, seppure non campano, rispose: “Presidente perché non candidiamo De Laurentiis?”. Dettaglio importante: in quei giorni nel dibattito pubblico aveva fatto irruzione la “privatizzazione” del Colosseo con il restauro sponsorizzato dallo scarparo “fiorentino” Della Valle e De Laurentiis per non essere da meno aveva lanciato un’idea suggestiva (ma copiata da “Così parlò Bellavista” di Luciano De Crescenzo): perché non trasformare Pompei in una Las Vegas archeologica tridimensionale facendone il perno di massicci investimenti su tutta la costa? Insomma, un uomo del fare, come Berlusconi. Per fare tanti, tanti soldi. Tornando al colloquio di Palazzo Grazioli. Alla domanda della mia fonte, il premier rispose così: “Ci ho già pensato ma lui non mi sembra propenso, farò un altro tentativo”. Il pressing su DeLa, quindi, proseguì ma non ci fu nulla da fare. Sornione e furbo, il presidente del Napoli disse il no definitivo sogghignando. Per un motivo preciso: aveva comunque raggiunto il suo scopo. Farsi cioè riconoscere meriti e popolarità dalla politica. In una parola: contare nei salotti che contano. In fondo, era stata questa la molla che lo aveva spinto a prendere il Napoli. Fino a quel momento faceva film su film ma in Italia era sempre semisconosciuto. Qualcuno lo consigliò: “Se vuoi la fama datti al calcio”. Lì nacque il sodalizio con Marino, che gli fornì due alternative: Udinese o Napoli. Lui scelse Napoli e il resto è storia e cronaca. Sono particolari utili per la psicologia del personaggio (che a Roma ha voluto i suoi uffici in una strada che porta la sua data di nascita, via Ventiquattro Maggio). Berlusconi incassò il no di DeLa strappandogli una promessa: l’appoggio pubblico in campagna elettorale. Che puntualmente è arrivato alcuni giorni fa. In una situazione di incertezza che non fa che accrescere il valore aggiunto del calcio. Secondo i sondaggi riservati del Cavaliere, a Milano e Napoli ai candidati del Pdl mancano dai tre ai cinque punti per centrare la vittoria al primo turno ed evitare il temuto ballottaggio. Così gli esperti hanno calcolato che la festa del Milan alla vigilia del voto, da un lato, e l’endoserment di DeLa, dall’altro possono fare la differenza. Di qui anche la paginata del Giornale diretto da Sallusti ed edito da Paolo Berlusconi sul pronunciamento di De Laurentiis per Lettieri. Non a caso gli ultimi sondaggi che mi hanno riferito ieri, avevano questa premessa: “Le cose stavano così fino a martedì, poi c’è stato De Laurentiis”. Come a dire: evitare il ballottaggio è impresa disperata ma non impossibile. Ma DeLa come ha capitalizzato la corte del Cavaliere e l’endorsement? La prima risposta tra il calcio e la politica è la promessa di non fare uno stadio nuovo ma rifare il San Paolo a spese del comune. Poi è stata sancita di fatto la nascita del club esclusivo delle Cinque Sorelle italiane: le tre Genoveffe, cioè Milan, Inter e Juve, più Roma e Napoli, in cui Berlusconi vuole formare una maggioranza anti-Moratti. Il primo banco di prova importante è stato il nodo centrale dei diritti tv che potrebbe portare a una clamorosa rivoluzione. Ma la questione che sta più a cuore a noi tifosi è un’altra: come si siederà a questo tavolo DeLa? A differenza di Berlusconi che ama il calcio e ha investito montagne di denaro, il nostro presidente probabilmente vuol dare un colpo al cerchio e uno alla botte, cercando di non andare mai in rosso e rifugiandosi dietro la tiritera del fair play finanziario. In questa chiave va decifrato pure il divorzio da Mazzarri. Un’altra mia fonte mi ha chiamto ieri mattina alle nove: “Oggi Lettieri e DeLa si incontreranno di nuovo a ora di pranzo”. Io ho detto: “Scusa se te le chiedo, magari riderai, ma se puoi cerca di capire questa roba di Mazzarri”. Alcune ore dopo i siti hanno rilanciato apparenti passi indietro di DeLa: “Con lui sto in una botte di ferro, chi meglio di lui può allenare il Napoli?”. Col cuore gonfio di speranza, perché la conferma di Mazzarri vuol dire rinforzi considerevoli per la Champions, mi sono risentito con il mio interlocutore politico nel tardo pomeriggio: “Che ha detto DeLa?”. La sua risposta ha spento la mia fiammella d’ottimismo: “Il matrimonio con Mazzarri è finito”. Ha aggiunto altri dettagli che non riporto perché farebbero risalire alla mia fonte. Chiaro, quindi, l’obiettivo pubblico delle dichiarazioni pubbliche ieri del presidente: scaricare ogni responsabilità sull’allenatore. Per la serie: non sono io che non lo voglio, ma è lui che vuole andare via. Un altro passaggio della mia fonte posso però riferirlo: “Posso dirti una cosa? Al di là della sostanza dei fatti, DeLa è come se fosse geloso di Mazzarri”. Ecco un altro punto di cui dovremo tenere conto in futuro. Il presidente vuole essere il protagonista del Napoli. Non ammette che qualcuno offuschi la sua stella. Anche per questo è come se avesse cancellato il nostro passato (ricordate l’infelice battuta di Bigon figlio sull’Europa League e la playstation?). L’ultima prova più di una settimana fa a “Porta a porta”. DeLa era in collegamento da Napoli. Bruno Vespa ha introdotto le sue domande con un lungo servizio su Maradona. Il presidente lo ha ignorato, ha parlato solo del presente e non ha mai pronunciato il nome di Maradona. Così è, almeno per me, se vi pare. Fabrizio d’Esposito
Il ruolo di De Laurentiis prima del voto e l’amara scoperta che è geloso di Mazzarri
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