Per la miseria, non ha smesso un attimo. È scesa acqua dal cielo manco fosse inverno. Le previsioni dicevano che ci sarebbe stata pioggia debole, destinata addirittura a smettere tra le 20 e le 23, perciò quando il Marito/Martire ed io scendiamo di casa con lo scooter, alle 19, bardati di tutto punto con attrezzatura antipioggia, continuiamo a ripeterci che avrebbe smesso. E invece quella no, non smette, anzi, “incasa”. Ho le polacchine estive ai piedi. Io sono una di quelle che il cambio stagione lo fanno ai primi tepori marzolini, figuriamoci se avevo ancora sotto mano le scarpe invernali. Facciamo solo pochi metri che ho l’acqua che mi inonda i calzini. Eppure, per esorcizzare la pioggia, il Martire ed io ci raccontiamo le nostre sensazioni. Tipo che quando si perde in casa sembra che poi il tempo, dopo, non passi mai e poiché abbiamo perso pure in trasferta, a Palermo, sembrano due mesi che manchiamo dal San Paolo. Quando arriviamo a Fuorigrotta lo spettacolo è abbagliante. Munnezza e pioggia in mezzo a gente bagnata fradicia come noi. Che cosa siamo disposti a fare per questa squadra resta un miracolo. Durante il tragitto, mentre cerchiamo a grandi salti di evitare le pozzanghere sul terreno sconnesso, il Martire mi chiede “e se vicino a noi ci sono dei genoani?” gli ricordo che siamo gemellati, perciò non possiamo picchiare nessuno, anzi. Al varco tribune due porte sono chiuse, proprio quando non desidererei altro che un posto coperto dove smettere di sentirla venire giù come Dio comanda. Uno davanti a noi ci dice che l’Inter ha battuto il Cesena 2-1. Maledetta sia Milano.Gli steward fanno il controllo direttamente al tornello, si dovessero bagnare troppo, eh. Una calca. Corriamo su per le scale solo perché sappiamo che al nostro posto non ci piove. Ma piove anche là, invece. Cappuccio impermeabile calzato in testa e aria di casa. Finalmente quel campo, quegli spalti, facce amiche, quasi quasi mi verrebbe voglia di togliermi scarpe e calzini e mettermi in libertà. La pioggia, intanto, non accenna affatto a diminuire, anzi, aumenta sempre più. Lo speaker fa notare che a noi neanche il Padreterno con tutta quest’acqua ci ferma ed io penso che è maledettamente vero. Che non me ne sono persa neppure una e il pensiero che questa sarà la penultima davanti ai miei occhi mi stringe il cuore e mi affanna un po’. Inizia. E noi abbiamo il piglio giusto, Lavezzi è uno spettacolo. Non mi interessa neppure il fatto che non veda la porta, fa delle malattie, stasera, che poche volte gli ho visto fare, probabilmente la sua migliore partita in campionato. Vederlo così rallegra la vista e l’anima. Cavani è umano, stramaledettamente umano. Non ne azzecca una. Il Pocho gli passa tante di quelle palle gol e lui non ne imbrocca nessuna. E l’unica che dovrebbe ripassare al Pocho se la tiene egoisticamente per lui sbagliando anche quella. E però non mi sento di dargli addosso. È sceso dall’astronave, ma se stiamo lì sopra è soprattutto merito suo. Finisce il primo tempo. Mi passa davanti il campionato. Penso che potrebbe pure finire qua. Penso che se non vinciamo davvero tutto torna ad essere un po’ più a rischio. Penso a quello che starà dicendo loro Mazzarri. Non può non convincerli di quant’è importante dannarsi l’anima per vincere, stasera. Si riprende. Andiamo avanti. Dopo circa cinque minuti dal settore ospiti Genoa chiama Napoli e dopo pochi secondi Napoli risponde chiamando Genoa. Il Martire ed io abbiamo i brividi. Mai vista una cosa bella così. Diamine, siamo gemellati, ricordatevelo. Ed in effetti la sensazione, per tutta la partita, è che in avanti il Genoa faccia di tutto per sbagliare. Vogliono lasciarci passare, sono sicura, ma non regalarci nulla, solo aiutarci un po’ per quello che possono. E infatti si proteggono favolosamente, non ce ne lasciano passare una, fortunati pure sui rimpalli. Maggio si lancia in scivolata per prendere il pallone di testa, alla sua maniera, ma è in anticipo, fuori tempo, non va. Poi, all’83°, lui, Marechiaro. Quello che forse contro il Palermo ha giocato la partita più brutta della storia, stasera ci ha salvati. Madonna quanto l’ho applaudito, quando tre minuti dopo è uscito dal campo sostituito da Mascara. Ci siamo alzati tutti in piedi e lui ad applaudire noi. Che regalo, Marechià, grazie, ci hai tirati fuori dal limbo pericolosissimo in cui ci eravamo cacciati tutti da soli. I quattro minuti di recupero e i rossoblu che continuano a lottare in difesa sono roba da strapparti le budella e farti venir voglia di buttarle in mezzo al campo, in pasto agli avvoltoi. Che stanno dietro, però, e giocano domani. Ma no, si continua, si resiste. Al fischio finale urlo “sì” a pugni chiusi. Piantata saldamente a terra. Conta solo questo. La vittoria. I tre punti. Terzi. Ora, se pareggiamo le prossime tre volte restiamo qua. Se vinciamo e succede qualcosa alle altre possiamo sperare in qualcosa di più. Quello che io voglio dall’inizio, l’Inter. Nulla è perduto. Usciamo dallo stadio. Sono zuppa. Ho la sensazione di essermi buttata in una piscina senza togliere le scarpe: i piedi sono così pesanti che faccio fatica a camminare. Al ritorno, in scooter, penso che sono così fradicia che quasi vorrei togliermi il caso e prenderla tutta in testa, farmi sommergere. Così apro la bocca e l’assaggio, la pioggia. È dolce. Dolcissima. Fresca. Sorrido. Sono felice. Siamo fuori dall’inferno durato due lunghissime, troppo lunghe settimane. Si può fare. E forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia
p.s. per chi non lo sapesse, oggi è il compleanno del nostro Admin. E che regalo ci siamo fatti, eh, Gianlù? Tanti auguri, Ilaria