Com’era Napoli nel 1926 quando Giorgio Ascarelli sciolse l’Internaples e fece nascere l’Associazione Calcio Napoli.
L’1 agosto 1926, Giorgio Ascarelli riunì i soci dell’Internaples e, con voce commossa, disse: “Pur grati a coloro che sono stati la nostra matrice, l’importanza del momento e la maggiore dignità cui il nostro sodalizio è chiamato mi suggeriscono un nome nuovo, nuovo e antico come la terra che ci tiene, un nome che racchiude in sé tutto il cuore della città alla quale siamo riconoscenti per averci dato natali, lavoro e ricchezza. Io propongo che l’Internaples da oggi in poi, e per sempre, si chiami Associazione Calcio Napoli”. La maglia prese il colore azzurro del cielo e del mare piuttosto che i colori giallorossi del gonfalone comunale.
Cominciò, sotto il segno del Leone, la storia di una passione unica, un grande fenomeno popolare che legò la squadra di calcio alla città più che in qualunque altro posto del mondo. Il calcio, a Napoli, divenne il vessillo di ambizioni e rivalse, di illusioni e delusioni, della contrapposizione al Nord, finendo con l’essere la valvola di sfogo delle precarietà e delle umiliazioni quotidiane come se la squadra fosse l’unico strumento di riscatto di una realtà depressa, di una città chiusa nei suoi mali, delusa dai governanti e schiacciata dalla forza economica del Settentrione.
Il Napoli è stato la bandiera di un popolo che non trovava altre occasioni e strumenti per vivere pienamente la sua carica emotiva, le sue capacità di sogno e di fantasia, il bisogno di visibilità e l’appartenenza orgogliosa a una grande e nobilissima città. Un transfert condannato e deriso, fors’anche futile e negativo, ma senza alternative. Altri sogni erano negati. E il Napoli fu subito lo specchio della città con una storia di illusioni, difficoltà economiche, inganni, delusioni, rivalse e vittorie, sempre dietro gli squadroni del Nord, e retrocessioni e riscatti fin quando Maradona e il primo scudetto dettero alla città il sorriso che aveva perduto.
Il vincolo fra il Napoli e Napoli si è saldato in questo “destino napoletano” della squadra di calcio. Un grande sogno e tante peripezie. Il Napoli ha rappresentato l’unico mastice di una realtà controversa e disgregata, di una città che ha finito col riversare sulla squadra di calcio il suo bisogno di identità, la sua tensione a conquistare una ribalta, una città di “feriti a morte” che ha rincorso un pallone per vivere la sua “bella giornata”.
Com’era Napoli quando apparve il Napoli nel 1926? Erano sulla bocca di tutti due canzoni allegre, “Lilì Kangy” e “Ninì Tirabusciò”. Andavano di moda i grammofoni a tromba della Polyphon con le voci popolari di Gennaro Pasquariello, che cantava “Lacreme napulitane”, e di Elvira Donnarumma, grandi interpreti delle canzoni napoletane incise su dischi di vinile a 78 giri, prodotti dalla prima casa discografica di Napoli, la Phonotype Record.
Anna Fougez, diva del café-chantant, contorcendosi tutta e accarezzandosi voluttuosamente le braccia nude, cantava “Vipera” di E.A. Mario. Anna Fougez era il nome d’arte di Maria Annina Laganà-Pappacena. Era di Taranto.
Nei ristoranti andavano di moda i “posteggiatori” che componevano quasi sempre un trio, il chitarrista, il violinista e il cantante. Erano famosi il mandolinista Mimì Pedullà, detto “manella d’oro”, e il violinista Salvatore Di Maria, detto “’nchiastillo” che voleva dire gingillo.
Al Teatro delle Varietà, in via Chiatamone, la soubrette romana Maria Campi, ballando la rumba, un ritmo che aveva appreso in Svezia, rendeva popolarissima la “mossa”: un colpo d’anca improvviso, da mozzare il fiato, dopo una lunga e provocante torsione del ventre mettendo in risalto le curve femminili. Quel colpo l’aveva inventato la cantante napoletana Maria Borsa che si esibiva al Teatro Partenope di via Foria. Al Teatro Eden, il fantasioso Michele Testa, che si era imposto un romantico pseudonimo, in frac foulard e monocolo annunciava le sue canzoni ammiccanti presentandole così: “Versi di Armando, musica di Gill, canta Armando Gill”. La cantante appassionata Gilda Mignonette, che in realtà si chiamava incredibilmente Griselda Andreatini, ed era nata nel quartiere della Duchesca, partiva per l’America dove avrebbe straziato i malinconici emigrati col suo pezzo forte, “Santa Lucia luntana”.
Nel 1926, quando nacque il Napoli, eravamo alla fine della belle époque. Napoli era l’unica città italiana con più di mezzo milione di abitanti (400mila a Milano, 380mila a Roma). I napoletani sarebbero diventati 820mila nel 1930. Al “Salone Margherita”, sorto nel 1890 per superare il “Moulin Rouge” parigino nato un anno prima, ottocento persone si affollavano in platea e sui palchi per vedere gli sgambettamenti delle ballerine e delle “sciantose”. Anni prima, avevano potuto applaudire la viterbese Lina Cavalieri, “la donna più bella del mondo”. Il primo cinematografo era apparso alla Galleria Umberto nel 1897, la Sala Recanati: un pianista accompagnava il film e un “fine dicitore” leggeva per il pubblico le didascalie della pellicola muta. Napoli era all’avanguardia di tutto.
Numerose erano nel porto le agenzie e gli agenti marittimi e commerciali del nord Europa. I rapporti con gli stranieri non erano solo economici, ma anche culturali. Il Circolo italo-britannico di via dei Mille era il più elegante della città. A Napoli vivevano inglesi, francesi, belgi, svizzeri, tedeschi, olandesi. Gutteridge, Codrington, Forquet erano i cognomi più conosciuti anche perché figuravano sulle insegne di molti negozi. I settori economici più vivaci erano quelli dei tessuti, delle granaglie, dei cantieri navali e della navigazione oceanica. Fiorivano centinaia di imprese: concerie, fonderie, fabbriche di oggetti d’argento, fornaci di laterizi.
I salotti, numerosi, accoglievano una vivace vita mondana. Otto teatri erano in attività. Il San Carlo e il Bellini ospitavano gli spettacoli lirici. La prosa e il varietà trovavano posto al Politeama, al Sannazaro, al Fiorentini, al Mercadante, al Nuovo, al San Ferdinando. Il Sannazaro diventò la sede stabile della “Compagnia del teatro umoristico i De Filippo” dopo che Eduardo e Peppino si erano esibiti al cinema-teatro Kursaal in via Filangieri.
Numerosi erano i caffè, col celebre Gambrinus e gli altrettanto famosi Caflish e Van Bol & Feste. Le corse dei cavalli si svolgevano al Campo di Marte, dov’è oggi l’aeroporto di Capodichino. Fiorivano i Circoli nautici, centri di attività sportiva e di vita mondana, con serate letterarie, giochi di carte e balli. Ce n’erano cinque: l’Italia, il Savoia, la Rari Nantes, i Canottieri Napoli, il Posillipo che si chiamava allora Giovinezza.
L’Eldorado-Santa Lucia, al Borgo Marinari, era un immenso stabilimento balneare con annesso teatro estivo e un dancing. Tutt’attorno, una corona di ristoranti che si chiamavano Palummo, Pastafina, Starita, Zì Teresa, Bersagliera.
I novecento abbonati napoletani al telefono dovevano azionare una manovella per mettersi in contatto con le signorine del centralino alle quali davano il numero col quale volevano parlare. Dal 1928 le comunicazioni divennero automatiche.
Si facevano grandi lavori in città e, nel biennio 1927-1929, fu aperto il tunnel della Vittoria che collegò la zona del porto alle vie eleganti del quartiere Chiaia. Il quartiere Santa Lucia brillava con i suoi alberghi lussuosi, i numerosi ristoranti, i café-chantant e i circoli velici.
Nel 1926 Napoli era una città felice e canora. Benedetto Croce aveva 60 anni, Eduardo De Filippo 26, Totò 28, Salvatore Di Giacomo 66, lo scultore Vincenzo Gemito ne aveva 74 e Matilde Serao, la più popolare e amata giornalista, aveva 70 anni. Raffaele Viviani aveva 38 anni e scriveva commedie teatrali in dialetto, autore-attore beffardo e violento, compositore di suggestivi canti di malavita. Marcello Orilia era l’uomo più elegante della città e Bebè de Luca un corteggiatore irresistibile, protagonista delle serate danzanti. Al Vomero, la Lombardo Film, una delle prime industrie cinematografiche italiane con stabilimenti in via Solimena, produceva pellicole di successo.
Nel 1926, in ottobre, dagli studi all’ultimo piano di un palazzo in via Cesareo Console, cinque stanze con vista sul golfo, fu diffusa la prima trasmissione radiofonica locale sulla lunghezza d’onda 333,3. Napoli fu una delle prime città italiane ad essere dotata di una stazione trasmittente. Ernesto Murolo raccontava al microfono la storia della città e interpretava canzoni napoletane. Seguirono radiocronache dall’ippodromo dell’Arenaccia e collegamenti con i locali da ballo. Furoreggiavano le orchestre di Tagliaferri e Petralia. L’abbonamento alla radio costava 8,75 lire. In quello stesso anno, al “Miramare”, davano spettacolo due ballerine francesi, Edmonde e Christiane Guy, che sconvolsero gli uomini brillanti della città, tra cui Francesco Caravita, principe di Sirignano, aristocratico viveur, ballerino, giramondo, caprese di elezione e pilota di una Maserati otto cilindri con cui correva nelle competizioni su strada.
Quel primo Napoli partecipò al girone A della Divisione nazionale. Dieci squadre in lizza. La squadra azzurra si piazzò ultima senza vincere una gara e incassando la bellezza di 61 gol. Il portiere, con coppola in testa, era Pelvi. Terzini: Catapano e Pirandello. Mediani: Innocenti, Kreutzer, De Martino. All’attacco: Gariglio, Ghisi, Sallustro, Venturi, Sacchi. Al Bar Brasiliano, ritrovo del tifo nella Galleria Umberto, un tifoso esclamò: “Sta squadra nosta me pare ‘o ciuccio ‘e fichelle: trentatré piaghe e ‘a coda fracida”. Nacque così l’emblema del ciuccio.
Col girone unico del 1929-30 fu un altro Napoli, un vero squadrone, che si piazzò alle spalle dei maggiori club del tempo. Giorgio Ascarelli fu il primo grande presidente del sodalizio azzurro. William Garbutt l’allenatore con la pipa (ne aveva sempre cinque a portata di mano) il primo grande tecnico.
Il Napoli ha partecipato a 3 tornei di Divisione nazionale, a 65 campionati di serie A a girone unico, a 12 campionati di serie B e a 2 di serie C. Ha vinto due scudetti (nell’87 e nel ’90), tre Coppe Italia (’62, ’76 e ’87), una Supercoppa italiana (1990), una Coppa Uefa (1989), la Coppa delle Alpi 1966, la Coppa di Lega italo-inglese 1977. I presidenti più famosi: Giorgio Ascarelli, Achille Lauro, Roberto Fiore, Corrado Ferlaino. Gli allenatori con maggiori presenze: William Garbutt, Eraldo Monzeglio, Bruno Pesaola, Giuseppe Chiappella, Luis Vinicio, Rino Marchesi e i vincitori degli scudetti Ottavio Bianchi e Alberto Bigon. Da Sallustro a Maradona, in 85 anni, una galleria di campioni.
Il Napoli ambizioso di Aurelio De Laurentiis propone una nuova stagione di successi e soddisfazioni. Il Napoli ha 85 anni e non li dimostra. La squadra è giovane e vuole costruire un grande futuro. Su tutti svetta la cresta di Marek Hamsik. Walter Mazzarri, lisciatosi il capello abbondante e ribelle, li tiene in pugno per un grande sogno.
Mimmo Carratelli