Prendiamo spunto da due temi ricorrenti nella vita quotidiana del tifoso del Napoli, ovvero le angosce circa le sorti dei tre tenori (Restano? Vanno? Che fanno?) e il mito, per non dire l’ossessione, del modello Barcellona (da seguire, imitare, emulare, con la Cantera e tutto il resto), e mixiamoli. Indovinate un po’ che risultato ne esce? Che anche i grandi club vendono le stelle. Immagino i sobbalzi sulle sedie, ma non temete, la conclusione non è peregrina. Basta procedere per gradi.
Siamo tutti in ambasce per Hamsik, Lavezzi e Cavani (d’altronde da lustri non eravamo più abituati a gestire certe pressioni psicologiche derivanti dall’avere campioni in squadra): la prospettiva che se ne possano andare incute timore, quella che possano finire in un’altra italiana fa male. Eppure può succedere, e non è necessariamente un segno di debolezza.
Per dimostrare questa tesi si può prendere a modello proprio la storia del Barcellona degli ultimi vent’anni, quelli che hanno portato il club blaugrana, già coreggente del campionato insieme al Real Madrid, a consacrarsi a livello europeo. La lista dei gioielli ceduti nel corso di questi due decenni è lunga: si parte con Romario, venduto all’età di trent’anni dopo due stagioni al Camp Nou; si passa per Ronaldo (ceduto ad appena vent’anni), Luis Figo (passato alle odiate Merengues venticinquenne) e Rivaldo (girato al Milan in età non tanto avanzata, trent’anni, ma già un po’ brocco a dirla tutta) fino ad arrivare ai più recenti Ronaldinho ed Eto’o. E questo solo per parlare delle stelle in attacco.
Ora, fatta questa carrellata di nomi, bisogna fare delle considerazioni. Innanzitutto, siamo di fronte a una legge del calcio: le squadre si costruiscono intorno a un’ossatura, e nell’ossatura non rientrano per forza le star. Nell’undici idealtipo del Barcellona delle ultime dieci stagioni risultano i celebratissimi Xavi e Iniesta, ma anche giocatori meno mediatici come il portiere Valdés e il difensore Puyol.
L’obiettivo strategico per un grande club non è tenere in squadra i propri campioni fino alla pensione, ma sostituirli in maniera degna. Tenendo sempre presente il riferimento catalano, Rivaldo è stato ceduto quando si aveva per le mani il giovane Ronaldinho, e il Gaucho a sua volta è stato fatto fuori quando Messi è giunto a maturazione. Anche la Pulce in futuro cambierà aria? Chi può escluderlo.
Cari Napolisti, rassereniamoci, che i tre tenori prima o poi possano andarsene fa parte del gioco. Il loro ciclo qui presto o tardi finirà: il Napoli può consolidarsi in questi anni nella dimensione europea, ma prima che possa ambire a vincere una delle due coppe continentali ce ne è molta di strada da fare. La carriera di un Hamsik o di un Cavani ha tempi di consunzione diversi, non possiamo immaginare che restino qui vita natural durante.
Il ciclo di Ronaldinho a Barcellona si è potuto chiudere con un paio di titoli nazionali, una Champions e un Pallone d’Oro; quello dello slovacco a Napoli, giunto sulle sponde del golfo diciannovenne in una squadra neopromossa, ha altri termini naturali.
Il giorno che i tre gioielli andranno via da Napoli, loro come i campioni che in futuro vestiranno la casacca azzurra, non dovremo viverlo come un ridimensionamento o una sconfitta. E’ fisiologico. La sfida per De Laurentiis e Bigon, quando verrà quel dì che auguriamo ancora lontano, è trovare i sostituti.
Roberto Procaccini
Ps: La lettura della storia del Barça porta anche un secondo insegnamento: pure i grandi club sbagliano. E’ stato positivo il movimento di mercato che ha portato via Eto’o e una fracca di soldi per vedere arrivare Ibrahimovic? A proposito di giovani, non è un errore farsi sfuggire Piqué, cresciuto nella Cantera, per doverlo poi ricomprare dallo United? Ma questo è tema per un altro articolo.