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Grazie Aurelio, faraone egizio, per la grande serata

Interno macchina, altezza Brindisi: famiglia che torna in città dopo un estenuante (per me) mese di vacanza. E torna a Napoli sotto un sole cocente, con 45 gradi all’esterno e, dentro, una speranza di vita attaccata al condizionatore, ché se lo spegni rischi di morire sciolto nell’aria come se fosse acido. Torniamo a casa afflitti, perché ci eravamo programmati il rientro apposta per la prima di campionato e adesso che la prima non c’è ci sembra tutto così banale da farci rimpiangere tutti gli animatori del villaggio vacanze e persino l’anfiteatro che ci ha distrutto i reni per una settimana sulla nuda pietra. E vabbuò.
Il Martire mi convince a dare una scorsa al giornale, opportunamente ripiegato in borsa: che ci sarà mai di così interessante da leggere? Non c’è il Napoli, niente domenica allo stadio, quella che aspettavo da tanto tempo e con l’ansia sulla pelle. Già insofferente per il viaggio che ci aspetta, mentre siamo fermi nel traffico dei vacanzieri che tornano nelle rispettive città, inizio a sfogliare con trascuratezza Il Mattino. La vedo, la notizia, la leggo al Martire incazzandomi un altro po’ perché se magari l’avessero deciso prima, magari… e invece il Martire che fa? Impazzisce. Proprio! Ribalta in un attimo i termini e gli equilibri della coppia e propone di andare allo Stadio. Cioè, roba fantascientifica! Sono io, in genere, quella che ragiona per improvvisazione e lui quello che dice no! E insiste pure, il Martire, deciso a vincere le mie blande resistenze perché, gli ricordo, stiamo per rimanere in macchina circa sei ore se ci va bene, poi ci sono i bambini da piazzare, la stanchezza. Ma non ci credo neppure io e prima ancora di dirgli sì prendo il telefono e chiamo mia madre per organizzare tutto. Da quel momento in poi è solo frenesia. Si torna. Si va al Tempio. Grazie mamma. Grazie Aurelio!

Sì. La Puglia è impazzita. Io ho un Presidente. No, perché se uno ti organizza un’amichevole col Palermo quando ti sembra tutto perduto puoi solo applaudire e fargli tanto di cappello. Certo, non ci sono i tre punti (come mi ricorda Trapani al telefono, che neppure riesce a smorzare il mio entusiasmo), certo, non è come sarebbe stata domenica 28 di campionato, in nulla, nemmeno una virgola, ma si va in Chiesa, per la miseria. Dopo tre mesi e mezzo si torna in Chiesa a professare una fede tutta azzurra. E così, dopo sette ore di macchina in cui hanno sudato anche le punte dei capelli, molliamo bambini e valigie e corriamo al San Paolo in tempo per l’apertura dei cancelli. Sono le sei e mezzo e ci aspetta un’interminabile attesa. Ci passeremo cinque ore e mezzo qui dentro. Non è la stessa attesa, ma è comunque un’attesa.
Aria di festa. Lo stadio si riempie. Amici che sbucano e, come per miracolo, si ritrovano proprio in corrispondenza del tuo posto, ché ti puoi vedere la partita in compagnia. Fremiamo. Abbiamo fame, caldo, si suda anche da fermi. 30 gradi nonostante sia sera. Nei rari istanti in cui la brezza ti smuove i capelli ti sembra di essere in Paradiso, respiri, poi torni in apnea, l’aria pesa, stare stretti riscalda troppo. Il telone degli sponsor gronda acqua quando lo sollevano dal campo. Poi arriva lui. L’uomo in jeans e giacca chiara. Entra come un Faraone egizio. Sa che in questo momento gli concederemmo qualunque cosa, nonostante i cori e l’inspiegabile risentimento degli Ultras. Guagliù, giochiamo, mi verrebbe da dirgli, il che è già un grandissimo regalo. Entra impettito, come fa sempre, cammina con calma, proclamando che questa è la nostra casa, la nostra forza, siamo una famiglia. I proclami che io detesto, insomma. Ma lo amo. Inizio ad innamorarmi di questo folle ed incomprensibile uomo. Certo, vorrei frustarlo quando chiama il Capitano con il nome del fratello (inchinati, inchinati!), come vorrei prendere a scudisciate l’intero pubblico che acclama il Pocho manco fosse Re Mida. Ma ci sono tutti, sono belli e allora applaudo persino quando Siani dice “Forza Napoli, Napoli Forza!”.
Perché sono passata per le strade invase dalle erbacce e dalle ortiche e ho avuto l’impressione che questa città ci stia divorando tutti dalle fondamenta, che si sia voluta vendicare per averla abbandonata per un mese, per esserci allontanati dalla spazzatura, dall’arroganza, da tutto ciò che non funziona. E vorrei solo estirparle, tutte quelle erbacce, scendere dal motorino e improvvisarmi giardiniere, pungermi con le ortiche e graffiarmi le ginocchia e frenare l’avanzata del marcio e riprenderci tutto e anche di più. Ma chissenefrega. Si riscaldano. L’aria è tesa, non è quella di sempre, siamo nei Distinti e non mi sento a casa, è tutto stravolto, non doveva andare così, non c’è niente al suo posto, sono anche un po’ distratta, ché non mi raccapezzo con i punti di riferimento. Ma siamo lì. Si sente l’odore dell’aria. E nell’aria l’odore dell’erba umida. È un’emozione già così.
Iniziamo che non mi piace come si passano palla, come se il Camp Nou li avesse travolti senza insegnargli nulla. Ma quando iniziano a giocare palla a terra allora li vedo. Ci sono. Mi convincono. Secondo me un grande Napoli. Hamsik e Maggio migliori in campo, Christian di più. L’ho trovato irrobustito, imprendibile, una fascia finalmente perfetta, la sua, c’è sempre, ovunque e ci crede, per la miseria se ci crede. Hamsik è nella sua posizione ideale, pronto per il guizzo: è il suo anno, lo so. Cavani lavora come sempre, instancabile. Vede la porta, sembra attirato da una calamita. Tira e tu pensi che non ci arriverà mai, eppure non ci va poi così lontano. Non mi è piaciuto Dzemaili, Gargano non l’ho visto migliorato accanto ad Inler. Mi sono emozionata quand’è entrato Grava e sono contenta dello spirito di Peppiniello Mascara. Zuniga mi sembra migliorato, le prende tutte e le controlla pure. Inler è un gioiellino. Tocca di fino e ci arriva sempre. Passa la palla con una precisione geometrica che ti fa innamorare. Aronica, Totò, sei cresciuto anche tu, ci sei. Lavezzi mi infastidisce. L’ho capito cosa non mi piace del Pocho. Non è il suo modo di giocare, perché a volte sembra danzare sulla palla, come ha fatto ieri e allora mi piace guardarlo e sperare non si perda, ma non ha mordente. Non capisco come si faccia a dire che ha la voglia di giocare tatuata sulla pelle, sono proprio le motivazioni che gli mancano, invece, quella stanchezza nel riscaldamento pre-partita mi dà sui nervi, il suo distacco dal resto del gruppo mi farebbe scendere in campo a prenderlo a calci. Da Aurelio mi aspetto solo una cosa, adesso, che gli urli un po’ in testa e lo renda un giocatore che oltre a tirarsi appresso le difese e ad incantare un pubblico intero conquisti pure gli scettici e chi ritiene che le partite si giocano con la testa, come me.
E arriviamo al punto. È una bella squadra, secondo me. Una squadra unita, forte, che può andare lontano. Se ci crediamo, se Mazzarri ci lavora un altro po’ possiamo andare lontano, spaventare qualcuno, metterne in difficoltà altri. In fondo il mancato avvio del campionato ci va nelle ossa: abbiamo bisogno di più tempo, bisogna lavorare sui passaggi palla a terra, perché quando si ricordano che sono in grado di costruire le azioni così iniziano a fare davvero un bel gioco. Dobbiamo lavorare sulla testa, sulle motivazioni, sulle convinzioni. E non farci spaventare da niente e da nessuno. Testa e piedi, pancia e cervello, sentire e ragionare e poi spingere con forza. Saremo pronti per l’avvio, che sarà tutto in salita, ché il Cesena si è costruito bene, poi c’è Mancini e poi ci sarà il Diavolo in casa. Ma sarà perfetto. Iniziamo l’attesa. Ci vediamo tra una ventina di giorni al San Paolo. Pregheremo insieme e torneremo a vivere. Amare non abbiamo ancora smesso. E con i tre punti godremo di più. E Forza Napoli. Sempre.
Ilaria Puglia

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