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La pioggia mi ha esaltato e bravo Walter col silenzio stampa

Mi sveglio con l’idea di ricoverarmi in una clinica del sonno per non svegliarmi più alle 5 e mezzo del mattino: non ce la faccio. Oggi, giornata di scelte. Io faccio la mia, poi resto a chiedermi come mi sento per buona parte della mattinata. La colonna sonora dello stato d’animo è My favourite things di Julie Andrews, con la concentrazione sulle piccole cose che ti fanno stare bene. Segue a ruota La pioggia di marzo di Mina e il suo mantra perfetto mentre, fuori, solo nuvole e pioggia.
Inizio a sentirmi meglio. Piove come il cielo la manda. Quando vado a prendere mio figlio a scuola mi accorgo che le mie gambe, notoriamente lunghe, non riescono a superare i fiumi che separano la strada dal marciapiede. Ho la pioggia addosso e l’umidità nelle ossa. Penso fino al primo pomeriggio che sarà difficile che si giochi, questa partita, il cielo sta piangendo da ore e adesso sembra in piena crisi isterica da pianto. Ho mal di gola, gli occhi che bruciano e un principio di mal di testa da influenza ma non mi sogno neppure per un istante di pensare “non ci vado”. Alle quattro inizia il mio lunghissimo pomeriggio. Accompagno il Martire in giro per servizi, cercando di distrarlo dai cattivi pensieri. Gli parlo del Napoli, del mio libro, delle presentazioni che verranno, e non smetto per un attimo di chiedermi “come ci arriveremo, allo stadio, se continua a piovere così?”. Negli spazi lasciati liberi dalle attese lui mi fa “chiaramente tu l’idea di non andare non l’hai neppure presa in considerazione, eh?”. Muovo leggermente la testa con uno sguardo birbante negli occhi e gli faccio segno che no, proprio no. Alle 19 siamo da Feltrinelli, in via Ponte di Tappia. Diluvia. Siamo in motorino. Entriamo in libreria per ripararci: vedo il mio libro esposto accanto alle Storie di de Giovanni, al libro di Cavani e a tutti quelli che parlano del nostro Napoli e mi emoziono. Ho gli occhi lucidi e la giacca bagnata, ma il Padreterno è grande e fa smettere la pioggia per un po’, giusto il tempo di tornare a casa e prendere panini e macchina. Sì, panini, avete letto bene, stasera allo stadio si mangia. Alle sette e mezzo siamo bloccati nel traffico. Sbuffo, mentre cerco frenetica una canzone tutta mia alla radio. Il Martire mi chiede il perché della mia insofferenza “non mi piace andarci in macchina”, gli rispondo. Ed allora iniziamo a parlare dello stadio, delle mie emozioni là dentro. Gli dico che ho fretta di arrivare allo stadio perché per me andare al San Paolo è una catarsi, che lì dentro scarico, mi sento meglio, soprattutto dopo giornate come questa, ne ho bisogno, è un po’ come una palestra, lui ha il calcetto una volta a settimana, io ho il mio stadio. Per questo, più tempo sto là dentro più sto bene. Mi dice che in effetti si vede. Mi chiedo se non mi stia sfottendo. Ma lui inizia a raccontarmi che quando entro là dentro cambio, mi rassereno, mi brillano gli occhi, sono più bella, mi passa pure la stanchezza dal viso, sorrido sempre. Insinua che forse sarebbe diverso, oggi, se io avessi vissuto il San Paolo ai tempi di Maradona, che vedere quel genio in campo e vincere in quel modo adesso mi avrebbe fatto guardare a questa squadra in modo differente. Gli spiego che è proprio il contrario, invece. Che adoro questo Napoli perché non ci sono singoli geni, a parte alcuni meravigliosi guizzi e tre – anzi per me quattro – tenori dalla voce adesso un po’ roca. Gli spiego che è proprio l’incertezza la parte più bella, la consapevolezza che puoi perdere contro il Parma e la settimana dopo vincere da un’altra parte. Il non stare mai tranquilli: avere prestazioni da squadra europea e la volta dopo deliri da campionato dilettanti. Gli dico: “tanto stasera vinciamo, perciò la pioggia mi fa un baffo”. Mi guarda come se fossi pazza, ma ci sono abituata a quello sguardo, non me la prendo, sorrido. Alla radio ci sono tutte note belle ma tristi, mentre io cerco la carica, voglio arrivarci piena di musica nel posto dove mi sento a casa. Eccola: One Love, di Bob Marley.  Perfetta. È lei, la mia musica. Non fa più un goccio di pioggia fino a mezzanotte. Parcheggiamo lontano dallo stadio e mi metto a correre trascinandomi dietro il martire per arrivare subito là dentro. Poca fila: molti si sono fatti fermare dalla pioggia. È per questo che non ho preso in considerazione l’ipotesi di non venirci, stasera. Io qui ci sono sempre, per questa squadra ci sono sempre, sono coerente ed appassionata. Alzi la mano chi può dire di esserlo come me, che sto annotando nel libretto dei tifosi i buoni ed i cattivi, quelli che forza Napoli e quelli dell’inutile sfacelo. Che rabbia, marò. Dentro incontriamo il nostro amico vacanziero Pasquale: prenderà il posto di mia zia, che non viene allo stadio da un bel po’. Peppe Napolitano, che più tardi, via sms, mi ricorderà che il gol di Maggio è tutto mio. Benny, che stasera ha portato le mou all’arancia e che mi dice che sarà alla presentazione del libro di cui è comparsa fissa facendomi felice. Fabio, che ha mal di gola e tosse,e  pure io, tutto intorno in effetti sembra un lazzaretto: chi tossisce, chi si tira su la sciarpa a proteggere il collo, starnuti, cappelli sulla testa contro l’umidità della sera. Ma ci siamo, siamo tutti là, come un circolo di sodali, siamo tutti in comunione. È in partite come questa, quando per un’intera giornata di pioggia non hai pensato per un attimo di non esserci, che ti senti diversa, una tifosa degna di quegli undici che tra un po’ entreranno nel campo davanti a te dove si accenderà il tabellone per salutare anche qui da noi lo spericolato Marco. La partita inizia e siamo grintosi e determinati. Inutile che ve la racconti. Sarà stato detto già tutto, no? Formidabili, io li ho trovati formidabili, nonostante l’assenza reiterata di Hamsik e Cavani. Il Pocho si è fatto abbondantemente perdonare il peggio visto a Cagliari, questa è stata sicuramente una delle sue migliori partite. Aronica è degno della Nazionale: la pagina che gli ho creato su Facebook (https://www.facebook.com/#!/pages/Gi%C3%B9-le-mani-da-Tot%C3%B2-Aronica/153306694762264) fino a domenica contava 48 aderenti, mentre ieri sera, guarda un po’, siamo saliti a 55. Voglio vederli crescere… io lo dico dal primo giorno che è diventato grande e il merito è tutto di Mazzarri. A Mazzarri di ieri sera regalo un 10. Ha fatto una gran partita. E contrariamente a quanto dicono tanti, io sono favorevole al silenzio stampa. Mi hanno rotto le palle le dichiarazioni della stampa, i contorcimenti mentali e verbali (al mio paese, in gergo, si chiamano “pippe”), gli svisceramenti di ogni dichiarazione di tecnico e giocatori. E sono contenta soprattutto per i tifosi. Con il silenzio stampa si salvaguardano quelli che lì dentro ieri c’erano, che ci saranno sempre, quelli che due gocce di pioggia mica ci fermano, quelli che se ne fregano delle dichiarazioni da conferenza stampa, che quegli undici vogliono solo vederli giocare. E vincere. La libertà è un concetto che aleggia nella mia aria da stamattina, e che ha mosso tutte le mie scelte di oggi. Liberi di esserci, liberi di tacere o di parlare. Liberi di non farsi interpretare le parole da nessuno, di vivere, di fare ciò che sanno e sappiamo fare meglio nella vita. Loro giocare a pallone, io esistere, non essere trasparente. Terzi in campionato (a due punti dalla vetta) e secondi nel girone di ferro della Champions, con due dei tre tenori persi nella pioggia e nella nebbia. Statevi tutti zitti, adesso. Zitti proprio. E Forza Napoli. Sempre.
Ilaria Puglia

p.s. il Martire, stasera, ha mangiato. Alla fine del primo tempo ha divorato un panino con prosciutto cotto, insalata e maionese. Credo che, per tutto il primo tempo, non abbia aspettato altro. Mentre mangiavo il mio gli ho detto “non so se è perché stavolta sapevo di averlo in borsa, ma ho avuto fame tutto il tempo” lui mi ha risposto che è un anno che si puzza di fame allo stadio e sogna un panino. L’ho guardato addentarlo: aveva gli occhi felici.

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