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Quando ci credi con forza scontrarti con la realtà è dura

Mi sveglio di soprassalto cercando di ricordarmi il viso che mi è apparso nel sonno. È il Matador, incazzato come mai. Mi tiro rapida fuori dalla trapuntina leggera. Fa caldo. È autunno e invece sembra primavera. Mattinata in giro per il Vomero ad incontrare facce amiche. Pare Natale, quando tutti gli emigrati tornano a casa per le feste e non puoi camminare per strada senza fermarti ad ogni angolo a salutare qualcuno che non vedi da anni. Sarà che mi sono svegliata pensando che tra meno di due mesi è Natale e già affogo sotto la pressione delle feste. O sarà solo il lungo weekend dedicato ad una festa che le scuole dei nostri bambini festeggiano illudendosi di farli giocare e trattarli da bambini, mentre poi le maestre li trattano da adulti a 5 anni tutto il resto dei giorni. Bah. Giornata strana. A scorrere scorre, complice l’orario improponibile della partita, le 18. Peggio delle 12, peggio. Mentre i bambini dormono, dopo pranzo, io lavoro e mi interrogo ogni istante sul concetto di “lavoro”. Si possono chiamare lavoro le mille occupazioni in cui ti lanci senza beccare una lira? È tutta la settimana che mi interrogo su questa cosa qui. Che faccio nella vita? Di fatto, non ho un attimo di respiro. Si svegliano, inizia la corsa a tenerli impegnati, fermi, tra l’ennesima lavatrice, l’organizzazione della cena, il piegamentopannitiratidentroasciutti e la sistemazione della casa. Il tempo passa. Alle 17.30 siamo pronti davanti alla tv. I bambini colorano, il grande pronostica un gol di Cavani, ma lo fa sempre ultimamente, ed ultimamente non ci credo più. Le telecamere Sky  inquadrano il Matador negli spogliatoi, con le cuffie sulle orecchie e lo stesso sguardo incazzato che gli ho visto in sogno. Comunque andrà, su una cosa non ci piove, segnerà lui. E infatti, dopo soli 30 secondi, li castiga con il piede da campione. Sì, lo so bene com’è finita. In dieci, soprattutto. Con una voglia di portarsela a casa, la partita, nel secondo tempo, da farmi venire ancora più forte la voglia di piangere sul 2-1. È che detesto scontrarmi con la realtà. Quando ci credi fortemente, fortissimo, e poi ti scontri con la realtà è tremendo. Perché tu, coriacea come una cozza, non ci pensi minimamente ad arrenderti e allora ti trovi a scontrarti con beceri commenti disfattisti, con persone con cui non ti fermeresti a prendere neppure un caffè al bar e neppure se te lo offrissero loro e tutto perché? Perché non sei stata programmata per mollare. Mai. Credetemi, è una maledizione. Ma davvero! Comunque.. una squadra che amo tanto, come tutti voi, sennò non staremmo qui a scrivere tutte ‘ste parole. Ma una squadra corta, cortissima, una rosa troppo corta per lottare così. mi fa persino male vederli spompati. Una squadra che pure in dieci ha provato a portarsi a casa il pareggio e la partita, ma che è condannata da mille imprecisioni e da errori così banali da risultare colossali. Cioè, Lavezzi che passa la palla a Maggio che si riscalda a bordo campo con il risultato che la palla va fuori, una rimessa laterale gettata alle ortiche, un’altra con una palla caduta dalle mani miseramente, oltre agli errori di Inler a centrocampo e di Lavezzi in attacco sono veramente una cosa inguardabile, lo so. Eppure, che ci devo fare? Io insisto. Perché sennò mi sento male. Cioè, io già inizio a contare le ore per il Bayern. Anzi, a proposito, oggi sono riuscita a rimediare un biglietto per la partita dell’Allianz ad un caro amico. Vuoi vedere che il sabato non è stato tutto da buttare? E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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