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Rivoglio il Napoli della scivolata di Grava sulla linea contro il Lecce

Proprio l’anno scorso, a ridosso delle festività natalizie, vincevamo una partita incredibile con il Lecce. Per me rappresenta un’icona di questo gruppo. Era un periodo positivo, le vittorie si conquistavano in extremis e credo che proprio in quei giorni ci fu la vera e propria svolta che poi ci proiettò verso una primavera con molte più ambizioni. Eravamo reduci da una qualificazione in Europa League al cardiopalmo contro la Steaua con un gol di Cavani di nuca a tempo scaduto e di una soffertissima vittoria a Marassi, eravamo in piena rimonta in campionato e senza Lavezzi, come oggi, infortunatosi un paio di settimane prima. Giocammo malissimo, nel finale rischiammo più volte di beccare il gol, ma al novantatreesimo con una gemma, portammo a casa il risultato. Di quella partita ricordo in particolare Piatti che si fece ipnotizzare da De Sanctis a pochi metri dalla porta, l’assolo maestoso del Matador quando ancora era travestito da alieno e il boato tra incredulità e felicità di noi tifosi. Fu una giornata memorabile.
Ma in particolare si verificò un gesto a noi tanto caro e che oggi, non a caso, voglio ricordare: la scivolata, pochi istanti prima del nostro gol, salva risultato dell’immenso Gianluca Grava. Corvia, solo in area di rigore, riuscì a superare il nostro numero uno che potè solo sporcare il tiro, ma non il pitbull inferocito che gli spuntò alle spalle con gli occhi inzuppati di sangue. Quel pallone, che piano si dirigeva verso la porta sguarnita e verso la distruzione di un sogno appena sbocciato, fu letteralmente sradicato dalla linea della morte e riportato in vita, come i nostri desideri appesi, da un miracolo di rabbia.

Non so quanto sia valso quel gesto e quanto e cosa abbia potuto modificare nella testa dei compagni, ma credo che lì, in quei cinque metri di scivolata feroce vi sia racchiusa una differenza fondamentale rispetto a ciò che siamo oggi, un anno dopo.

Con il Lecce il nostro gioco fu confuso, frettoloso ed impreciso e l’assenza del Pocho si facesentire, ma ricordo che la squadra, tutta, era come una muta di cani assatanati che non mollava mai.

A me non è piaciuto il rientro a centrocampo di domenica scorsa contro la Roma dopo il gol di Hamsik. Mancavano ancora dieci minuti e su quella palla infilata nella rete romanista, l’anno scorso, di questi tempi, si sarebbero fiondati tutti e undici come piranha per recuperarla il prima possibile e far ripartire il gioco, anche a tempo scaduto. Domenica ho avuto l’impressione che si trattasse un rientro dopo aver realizzato il gol della bandiera, quasi fischiettante. E dieci minuti prima ognuno di loro s’era beccato anche una sana cazziata da parte di Lavezzi.

Ecco, io voglio credere che quello spirito indiavolato faccia ancora parte della squadra e che il gesto di Grava sia ancora un buon maestro per chi abbia perso un po’ di energie e motivazioni. Io voglio credere che sia ancora tutto possibile e che si possa ripercorrere un campionato simile a quello passato. Ecco, io voglio credere a babbo Natale e che le svolte esistano ancora. A partire da oggi, esattamente come l’anno scorso.

Vogliamo gli occhi della tigre, gli occhi di Gianluca.

Il Pocho ha rinviato le vacanze per curarsi. Ci crede. Perché mai non dovrei crederci io?

Forza Napoli Sempre

La 10 non si tocca.

Gianluigi Trapani

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