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L’articolo di Ilaria è come l’urlo di Munch

Ho letto le parole di Ilaria Puglia. E le ho intimamente e dolorosamente condivise. La loro forza, soprattutto la loro sincerità mi hanno trasmesso suggestioni simili a quelle che ebbi la prima volta che vidi l’urlo di Munch. E’ vero come dice Claudio Botti. che “Ognuno di noi potrebbe raccontare la sua storia di cittadino frustrato e violentato, ma qui, sul Napolista, limitiamoci allo Stadio e dintorni.” Ma considero questa occasione (la provocazione lanciata dall’articolo, e forse prima, lo sfogo della fidanzata di Lavezzi) un’occasione troppo ghiotta per buttare sul tavolo i propri pensieri senza troppe mediazioni.http://ilnapolista.it/wp-includes/js/tinymce/plugins/wordpress/img/trans.gif Qual è il problema? Semplice: è giusto abituarsi a vivere così? Questa è per me la domanda a cui rispondere senza ricorrere a troppo facili e istintive giustificazioni (che a volte risalgono alla notte dei tempi).

Rispondete tutti: è giusto? Vi piace? Lo considerate normale?

Non tiratevi indietro di fronte a questa risposta. E’ giusto? Si o no?

Molti di quelli che scrivono sul Napolista sono sicuro che hanno avuto la fortuna nel corso degli anni di viaggiare per il mondo e di aver avuto modo di constatare che in parecchi dei posti visitati, i più elementari diritti di chi vive nella società (uscire senza essere ricattati o derubati, rispettare la fila, non pagare la mazzetta per qualsiasi fottutissima cosa…) sono la maggior parte delle volte assicurati, non solo dallo stato ma da un istintivo e radicato codice etico insito in ogni singolo cittadino.

Allora mi piacerebbe per una volta partire da zero. Da qui, da questo urlo di dolore e insopportazione che uno di noi ha lanciato chiaro e forte.

Non è giusto! Ribelliamoci a questi piccoli grandi ricatti che avvelenano ogni giorno la nostra vita e che piano piano come una dose d’oppio abilmente somministrata ci abituano a sopportare ciò che molti al di fuori di questa città e questa nazione non sopportano. Partiamo da un urlo, da una catena del motorino agitata contro un topo parcheggiatore. E soprattutto, non sentiamoci in dovere di giustificarci (almeno tra di noi) quando ci scappa di gridare che a volte, la nostra, è proprio una città di merda. Questo è il punto di partenza.
Francesco Patierno

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