Una domenica bellissima. Un pranzo da amici con tutta la famiglia, bambini compresi, cosa volere di più? Sì, lo so, i tre punti, direte voi. Ma a volte ci sono cose più importanti. Lo studio antropologico, per esempio. Lo studio di una strana specie di tifoso, il Gallo. A pranzo con Massimiliano, Francesca e sua figlia Giulia, il Martire ed i miei bambini che, impossibile pure ad immaginarlo, alla vigilia, sono stati due angeli per quasi tutto il giorno. Sorvolo sulle leccornie che ci ha preparato Francesca, dirò solo che si trattava di pranzo a base di pesce, che ho aiutato in cucina come se fossi a casa mia, anzi di più, e che il tutto è stato innaffiato da un ottimo vino rosso, con la sorpresa che anche i miei commensali amici preferiscono la tinta forte pure se si tratta di abitanti del mare serviti nel piatto. Alle quindici finiamo di pranzare e prendiamo posizione davanti alla tv, che, data la neonata casa di Francesca, si trova posizionata a terra. Il Martire sul divano, noi tutti con il sedere al freddo. Arriva Ciro, un amico di Giulia. Si toglie il cappello e lo getta sul divano, scoprendo una cresta alla Hamsik che già me lo rende simpatico senza che lo abbia ancora sentito parlare. Nessuno mantiene la posizione invariata per tutti i novanta minuti. Chi si muove di meno, però, è Gallo. Tutto il primo tempo lo passa in piedi. Al fischio di inizio inforca gli occhiali e si poggia dritto impalato dietro di noi. Posizione fissa e concentrata. Zitto come il San Paolo vuoto mentre si gioca a Milano. Non un fiato e non una parola. Nell’intervallo gli faccio: “Però! Teniamo!”. Lui neanche risponde. Fa cenno di sì con la testa. È soddisfatto. Non lo dice, ma legge anche lui, come me, un miglioramento rispetto alle ultime prestazioni dei nostri. Il gioco riprende, il Martire si mette la copertina di pile sulle gambe, noi cambiamo ancora una volta posizione, il Gallo si siede sul divano. Incredibile: si è mosso. Gioco fermo, Nocerino va verso Aronica, Aronica lo blocca con il gomito, Nocerino gli si avvicina minaccioso, arriva Ibra e lo schiaffeggia facendosi scudo con Nocerino. Nocerino le prende da Ibra, poi le prende da Aronica. Intanto le prende pure De Sanctis, per il contraccolpo. Noi restiamo immobili. Io urlo: “oh!”. De Sanctis si infuria. Si inginocchia mentre Rizzoli gli consegna il cartellino giallo. Rabbrividisco di fronte all’ingiustizia. Poi l’arbitro si avvicina al mucchio sventolando il rosso e Ibra, a capo chino, esce dal campo. Il salotto diventa un tripudio di “Sì! Sì! Dai! Forza! Fuori! Vigliacco che non sei altro!” ed altri improperi tutti però pronunciabili e poco offensivi – non come quelle scempiaggini che ho letto oggi su Facebook e che sono pari a “napoletani colerosi”, no, niente del genere – tutti urliamo ed esultiamo e ci carichiamo perché adesso si può e si deve fare. Tutti tranne Gallo. Nemmeno un battito di ciglia. Immobile e concentrato come se stesse guardando la Corazzata Potemkin. Surgelato, anche se il freddo lo abbiamo lasciato fuori e il salotto è caldo di tifo buono. I nostri mollano. Si vede la paura, si sente nell’aria. Sono andati lì per pareggiarla. Entra Inler e il Gallo parla. Conveniamo che far entrare un diesel a trenta minuti dalla fine è una follia perché si scalderà al 90°, quando sarà troppo tardi. In fondo sappiamo già come andrà a finire, ma io non mollo un attimo la speranza di essere smentita. Finisce la partita e Gallo si alza: “Adesso lo so – dice -, tutti diranno che ci è andata bene, che è un punto guadagnato perché abbiamo giocato contro il Milan, ma secondo me abbiamo perso due punti”. Eccolo, il Gallo. È capace di stare zitto per novanta minuti e poi dire esattamente quello che pensi tu: un’occasione mancata. Delle peggiori, pure. Perché il Milan, quel Milan, senza Ibra, era veramente poca roba e noi ci siamo fatti prendere dalla paura di vincere. Dio, quanto mi manca il mio Napoli dell’anno scorso. Adesso tornano le Coppe, quelle che prima mi infastidiva che in tanti considerassero una distrazione, e che adesso guardo come l’aria che torna. Spero che si torni a respirare nel ritmo serrato dei tre impegni settimanali tutti altrettanto importanti. Spero che non ci siano più battute di arresto. Spero mi facciano sognare ancora con la speranza di entrare in Europa da qualche altra parte, da un pertugio bellissimo perché magari per me inaspettato. Non vedo l’ora sia giovedì. Perché lunedì, al San Paolo, non voglio andare a vedere l’ennesima partitaccia contro le odiosissime maglie gialle. Finisce la partita e non ho voglia di accendere il pc. Mangio un paio di paste, butto giù una grappa forte e mi gusto il caffè di Francesca. Una bella domenica, bellissima. In fondo è proprio perché è stata così piacevole che vedo il bicchiere mezzo pieno. Me ne vado serena anche se penso che il pareggio, nella vita, non esiste. Il che, di domenica, è già possibile considerarlo un trionfo. Torno a casa ed accendo il pc. L’unica rammaricata è Lisa dal Brazil. Lei ed io non siamo gente che si accontenta. Trovarla lì l’ennesima certezza. E Forza Napoli. Sempre. Ilaria Puglia
Care Coppe, restituitemi il mio Napoli
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