Eccallà. Si materializza ciò che sino alla fine si sperava di evitare. Chi di voi non ha pensato al proprio cardiologo appena arrivato a casa dopo aver digerito la sbornia di gioia nel post partita?
Ho goduto come un riccio al triplice fischio, ho continuato a godere scendendo le scale del San Paolo e ho prolungato sino all’auto parcheggiata a Viale Augusto. Una volta entrati, la radio ha continuato a ricordarci, dalle voci festanti di tutti i tifosi impazziti, che dopo quindici anni siamo di nuovo a giocarci una finale che conta. Sì, sino a casa sono entrato in trance beandomi nel ripercorrere al rallentatore avanti e indietro per infinite volte l’azione del secondo gol. Una sorta di Nirvana.
Più che parlare di essenza del calcio, definirei quel capovolgimento di fronte mortifero, l’essenza del Napoli. E di cosa siano capace di fare quei tre quando possono colpire. La velocità del Pocho, la classe di Marek e l’agilità del Matador. Non saprei quale dei tre gesti scegliere perché hanno colori e sapori completamente diversi ma che hanno portato ad un unico risultato: un gol meraviglioso.
In auto, tra un urlo e un coro di gioia provenienti dalle frequenze radio, non ho pensato ad altro: il gol e l’idea che ci giocheremo una finale. Finalmente. In quella che è una delle massime espressioni della goduria sortiva e non solo.
Lo scenario è del tutto mutato non appena mi si è scrollato di dosso quel velo euforico che mi aveva inebetito. A casa, da solo, la goduria e l’adrenalina piano piano si sono lasciate inghiottire per far emergere con molta più velocità un pacco d’ansia. A occhio avrà pesato un chilo, un chilo e mezzo. “Ci giocheremo la finale proprio contro di loro”. E in quel preciso momento ho pensato a Mazzarri che, nell’intervista radiofonica di qualche minuto prima, aveva ribadito di essere molto preoccupato per le condizioni fisiche generali della squadra. Io pensavo all’incornata da gazzella di Cavani, ubriaco di felicità, e il mister sotto banco cercava di infilarmi pillole calmanti ma che proprio in quell’istante non potevano sfiorarmi.
E invece nella mia camera da letto m’è venuto quell’attimo di panico. “La Giuve? Proprio la Giuve?”. Credo che per spogliarmi, lavarmi, mettere il pigiama e infoderarmi ci avrò impiegato più di un’ora. E anche dopo, quel pensiero si è attaccato come una cozza agli altri stritolandoli, condannandomi ad un filotto spennellato d’ansia: “Oggi la squadra è stanca. E tra due mesi? E se poi va a finire che gli daranno un rigore inesistente? Conte inizierà a piangere già da domani? Più di Mazzarri? E poi ora come si fa? C’è il Catania di Montella. Quelli saranno freschissimi. E poi dopo ci sono sempre loro a casa loro e poi un’altra trasferta a Roma. Maggio ce la farà a recuperare? E la difesa reggerà? E se poi si metteranno a pensare alla finale e si rilassano in campionato? Meglio il terzo posto o la coppa Italia? Meglio tutto. Meglio tutto. Meglio tutto…”.
E da lì, e da quell’ultima domanda bastarda che ho cercato in tutti i modi di non pormi, sono esploso. Mi sono alzato e ho iniziato a vagare per casa senza meta: “nel mio profondo, l’istinto ulula e tutti i ragionamenti, la freddezza e pure quest’ansia che solo per stanotte mi assalirà, non possono farci niente. Se devo pensare a cosa mi farà godere di più, non ho dubbi. Il mio desiderio più grande è la Coppa, al di là della Coppa. Perché non c’è niente da fare. Vincere, abbattendo loro, è tutta un’altra cosa. Sarò provinciale e un tifoso di serie B, ma noi (e qui ci infilo anche la mia banda) siamo nati e cresciuti tifosi del Napoli e anti-giuventini, godendo e soffrendo di questa rivalità che in alcuni tratti ha del becero e dell’irragionevole, ma che allo stesso tempo ti fa sentire le pulsazioni emotive infilando dentro il bene e il male di ognuno di noi. E che, nel caso di sconfitta, può provocare un incubo ben oltre il rammarico di Londra, ma che, nel caso di vittoria, può materializzare un sogno che dura in eterno.
Non a caso ricordiamo tutte le sfide contro i bianconeri (se ora scrivessi solo 3-0; 3-5; 1-3; 5-1, scommettiamo che tutti mi saprebbero dire cosa sono quei numeri?), perché nel bene o nel male ci hanno tolto o dato qualcosa e, non a caso, sulle vittorie si sono scritti libri, se ne fanno rappresentazioni teatrali o si realizza qualche bella canzuncella. Non c’è niente da fare. Da sempre quella è la partita, perché ognuno di noi ha un vicino di casa o un amico caro giuventino da sfottere. Coloro che sono sempre pronti a ricordarci cosa è il dolore e la rabbia delle sconfitte e a cui ricordiamo cosa è la gioia e la goduria delle nostre vittorie. Vittorie che sono come i film di Totò, in bianco e nero, ma eterne.
Domani sarà diverso. L’ansia si affievolirà, Mazzarri non parlerà alla radio, Maggio recupererà e i buoni pensieri ricompariranno già a partire da domani mattina per la partita di domenica per continuare la cavalcata, eh”.
E sono tornato a letto un po’ più sereno, cadendo immediatamente in catalessi, non prima di aver pensato: “Domani sarà diverso, sì, c’è il Catania, ma so già da ora che tra due mesi avrò bisogno del cardiologo. Era meglio evitare, ma già che ci siamo…eccallà”
Forza Napoli Sempre
La 10 non si tocca.
Gianluigi Trapani