Caro Napolista ti scrivo, avrei voluto leggere queste righe tra gli appunti di qualche tifoso del Napoli ma siccome il Napolista è un foglio dove anche un tifoso romano e laziale può intervenire, il rammarico si placa. Ci penso io allora. Lazio-Napoli non è stata una partita alla Chinaglia. Per niente. La morte di Chinaglia è stata vissuta a casa mia come quella di Enrico Berlinguer. Eppure allo stadio sabato sera ho avuto una sensazione di insufficienza generale, anche nell’omaggio a Long John. Avevo in testa altre immagini, una settimana intera di altre immagini: storie, nomi, giocatori completamente diversi. Avevo in testa la trincea della furia di Chinaglia e invece il campo era così largo, aperto, illuminato. L’Olimpico a volte sbraga, ti fa sentire troppo comodo, con quelle piste d’atletica che allontanano, raffreddano tutto. Io invece pensavo alla trincea.
Ne è arrivata un’altra di trincea, che non volevo. Come saprai all’inizio la serata è stata sporcata da una cosa che allo stadio di Roma forse non era mai successa: i fischi, le risate e poi il coro che parte, “ma chinaglia dov’è?”. E’ stata una cosa spiacevole, che ha incarognito tutto. Prima la reazione è stata di stupore e incazzatura, poi è partito rabbioso il nostro “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia” poi è arrivato il machete. E allora giù a valanga i soliti cori contro Napoli e i napoletani.
Ecco, quel minuto di silenzio infranto è una cosa che non mi è piaciuta. Neanche la reazione. Non è quella la trincea che desidero, che mi appartiene. Non è quella la trincea che spettava a Lazio e Napoli. Tuttavia, ed è un tuttavia sincero, che dio mi fulmini, preferisco ricordare quei napoletani che tentavano di zittire gli idioti che i cretini che hanno rovinato e deriso il minuto di silenzio. E mi avrebbe fatto piacere leggere queste righe sul Napolista, che una cosa del genere non l’avrebbe di certo tollerata. L’ho fatto io. Pace.
Stefano Ciavatta
Caro Napolista, avrei voluto leggere qui una condanna dei fischi a Chinaglia
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