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Al di là delle fazioni, il caso Rossi-Ljajic (io condanno entrambi) è la spia del malessere del calcio italiano

Il caso Rossi-Ljajic monopolizza commenti e prese di posizione. Finanche l’attesa per il finale di campionato, con gli interrogativi connessi, sembra meno accecante. E’ stato un avvenimento inatteso, inconsueto, destabilizzante.Ma che svela, col suo esplodere, di quanti problemi sia gravato, in quest’epoca, il mondo del calcio. Non solo sul fronte prettamente calcistico, con i suoi contorni di tifo violento, razzismo di minoranze fastidiose, crisi societarie, scommesse clandestine e così via. C’è anche uno spazio “elettrico” che riguarda le persone, i protagonisti di quello che ancora si chiama “gioco” del calcio e che sembra avviato a diventare altro da quello che abbiamo conosciuto. Dopo il brutto show con protagonisti Rossi e il calciatore, ognuno cerca di farsi un’idea precisa su torti e ragioni. Non mancano i giudizi drastici, che colpiscono duramente chi non la pensa nello stesso modo. E’ diffusa l’espressione “finti moralisti” come è diffusa la riprovazione netta del gesto di Rossi. Ciascuno risponde alla domanda in base al suo carattere, a quel che pensa della società, all’istinto o al ragionamento. In realtà, non sono moralisti da strapazzo i contrari al cazzotto come mezzo per risolvere le controversie, e non sono – fino a prova contraria – violenti in pectore quelli che dicono: la provocazione era forte, Rossi ha fatto bene. Personalmente, non amo assistere a scene di violenza, anche lieve. Non amo la guerra come mezzo per risolvere le controversie internazionali e, scendendo lungo la scala degli eventi umani, non apprezzo affatto né chi provoca violenza né chi risponde con la violenza. Non la forza ma la responsabilità dovrebbe essere il mezzo adatto per superare offese, cattive azioni, volgarità gratuite e quant’altro. Vale nella vita d’ogni giorno e dovrebbe sempre valere anche nei dintorni del “gioco” del calcio. Così non è, evidentemente, e questo brutto segnale di esasperazione la dice lunga sul deteriorarsi della vita associativa nelle squadre e tra le squadre. Ingenuo pensare allo sport puro e cavalleresco. Ma pauroso intravvedere la possibile trasformazione finale di uno sport tanto amato in un coacervo di violenze sotterranee pronte ad esplodere. Occorre, ora più che mai, una seria presa di coscienza che riporti il calcio nei suoi veri e civili confini. Dovrebbe essere questo l’impegno di Federazione, organi dirigenti a tutti i livelli, presidenti di club e anche giocatori, allenatori e tifosi. L’alternativa è la prospettiva d’un degrado progressivo e definitivo. Uno sforzo grande per una maturazione collettiva, nel segno di un ripristino di trasparenza, serietà, convivenza, tolleranza. Sembra arduo, quasi impossibile? Bisogna che ci provino, o il giocattolo si romperà. Per tornare, infine, allo scontro tra Rossi e Ljajic, è chiaro che il calciatore s’è comportato malissimo nell’ironizzare e nell’insultare l’allenatore. Così come ha prodotto effetti impressionanti il veemente attacco pugilistico di Rossi, che ha ceduto all’istinto rinunciando al suo legittimo potere disciplinare, da esercitare a bocce ferme e in base a regolamenti e leggi precise. Due azioni negative non si elidono, si sommano. Mimmo Liguoro

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