Alla fine io oggi salirò quei gradoni senza radiolina. Come mi ha insegnato nonno Vittorio. Mi torna in mente spesso nonno Vittorio. Non me lo ricordo più ma forse la prima partita al San Paolo l’avrò vista con lui. Di certo tante ne ho viste con lui. Poi arrivò Savoldi, giocatore a lui non gradito, e il nonno cominciò a fare sciopero. Sostituito immediatamente da zio Tommaso, alias Eleuterio dalle sponde di quel ramo del lago di Como.
Ebbene, per nonno Vittorio chi portava la radiolina allo stadio non era un vero tifoso. Lo diceva sempre, non lo concepiva. La domenica calcistica con lui cominciava presto. Si andava a vedere la Bagnolese e poi al San Paolo. Aveva giocato nel Vomero, nonno Vittorio. Avrei voluto farlo intervenire l’altro giorno per spiegare che cosa significa la storia nel calcio, nella vita di un club. Mi ha raccontato la storia del Napoli praticamente anno per anno, nonno Vittorio. Tutto sapevo di lui. Odiava Tacchi, amava chi dava l’anima in campo, chi alla fine strizzava la maglia e usciva l’acqua. Io me lo ricordo alle 14.30 prendere servizio davanti a quelle radio che oggi andrebbero tanto di moda. Giganti. Ascoltava solo il Napoli. Per lui non esisteva altro. Nel 1987, anno dello scudetto che tanti qui sopra hanno detto che non andava ricordato dalla società, entrò in sala operatoria per peritonite. E al chirurgo che lo avrebbe operato disse solo una cosa: “Per cortesia, fatemi vedere lo scudetto”. Ecco, io oggi andrò allo stadio senza radio. E nonno Vittorio sarà contento. Lo so.
Massimiliano Gallo
Nonno Vittorio, ovvero perché oggi andrò allo stadio senza radiolina
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