“Abita in un appartamento di via Monte di Dio, così modesto da sembrare quasi umile. Luigi è magrissimo e fuma una sigaretta dietro l’ altra. Dice che in una giornata riesce a farne fuori un centinaio”. La citazione più cospicua a Luigi Compagnone, Ermanno Rea la dedica in “Mistero napoletano”. “è una creatura paradossale”, scrive ancora, parlando dell’ autore di “Città di mare con abitanti” (Premio Napoli ‘ 73), incontrato una sera a casa sua, nel 1993. «Quella fu una serata speciale. Conservo ancora il nastro registrato con la conversazione in cui passammo in rassegna il mondo napoletano. Compagnone mi raccontò di un’ altra sera di 30 anni prima, passata con Luigi Incoronato, l’ autore di “Scala a San Potito”. Il giorno dopo lo scrittore si suicidò». Nel ‘ 93 Compagnone progettava di pubblicare un nuovo libro, “Odio Napoli”, che però non uscì mai. «Il titolo era già concordato con Laterza. “è un titolo – spiegò – da pronunciare senza enfasi, in modo freddo, asciutto, preciso: odio Napoli. Parlo d’ odio perché vedo Napoli come una tragedia senza sbocchi”. Fu uno dei tanti argomenti di quella straordinaria serata, che durò ore, e di cui ricordo tante cose, ma mi è rimasta soprattutto impressa la sua passione».
Ha senso domandarsi il motivo di tanta insofferenza verso la città? «Quel titolo svelava la profonda passione per il luogo in cui era nato. Un come lui che parlava di odio poteva farlo solo a condizione di un prorompente amore. L’ odio e le sue modalità in quel caso erano talmente estranee al vocabolario corrente di un intellettuale, da far riflettere su quanto Compagnone fosse invece un uomo di passioni forti, di grandissima schiettezza e di una intelligenza tagliente».
Compagnone giornalista, poeta, polemista, autore di fulminanti epigrammi. E anche scrittore di singolari romanzi, come “La vita nova di Pinocchio”. «Oltre a essere un uomo di valore, e su questo non ci piove, ricordo di aver trovato, pubblicato da Pironti, un bellissimo libro sulla Napoli nera: “Mater camorra”. Un libro breve con un energico piglio narrativo. Una delle tante facce del prisma chiamato Compagnone. Non credo sia stato premiato quanto meritava, forse anche per il suo carattere spigoloso. Il suo nome viene messo ancora da parte, e la responsabilità di questo è di noi napoletani, che tendiamo a non sfruttare al massimo i talenti che abbiamo. Compagnone meriterebbe un riesame più attento».
Quale fu il suo rapporto con lui? «L’ ho conosciuto negli anni Cinquanta, gli feci delle fotografie con altri scrittori a Villa Lucia, in casa di Paolo Ricci. C’ erano Prisco, Mimì Rea, Luigi Incoronato di cui parlo in “Napoli Ferrovia”. Compagnone mi parlò di lui, quella sera a casa sua. Ero stato amico di Incoronato, ma essendo andato via da Napoli il nostro rapporto si era spezzato e ci eravamo persi di vista. Successivamente per caso lui è diventato molto amico di Compagnone. E questo la dice lunga sui due. Incoronato era un uomo dimesso, affascinato dagli ultimi della terra: io penso che ognuno ha amici ai quali è collegato da un filo segreto che li accomuna. Il buon Incoronato non era molto amato dagli altri, è lo stesso Compagnone a dichiararlo nel nastro che conservo gelosamente a Roma. Non avrei difficoltà a renderlo pubblico, anche se contiene cose particolarmente delicate, come i rapporti tra Incoronato, Rea, Prisco, le ragioni narrative, le gelosie fra di loro. Fu Compagnone a scoprire chi era la misteriosa donna per la quale aveva perso la testa: affidò il compito di indagare a un amico poliziotto, per poter aiutare l’ amico in difficoltà». Compagnone ebbe un rapporto controverso con la politica? «Prima fa parte del gruppo della fronda all’ università, con Dudù La Capria, poi diventa collaboratore del Borghese e amico di Longanesi. Io allora ero all’ Unità, e questo Compagnone che collaborava con un giornale che aveva a che fare con il fascismo non mi andava molto giù. Ma il Borghese non gli fece perdere di vista l’ etica. Il suo rapporto con il partito era nella sua natura ribelle. Non cessò mai di essere comunista, pur avendo collaborato alla rivista di Longanesi. Sarebbe bene che una città come Napoli considerasse con più attenzione autori come lui o Incoronato, personaggi significativi di quegli anni. Io nel mio piccolo faccio quello che posso: l’ attuale direttore del settore libri della Rcs, Paolo Zaninoni, dopo aver letto il mio ultimo libro, corse a comprare “Scala a San Potito” di Incoronato. Gli era venuta curiosità di leggerlo».
Stella Cervasio (da Repubblica del 31 gennaio 2008)
Luigi Compagnone, il suo “Odio Napoli” (che mai uscì) e le responsabilità dei napoletani
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