Parto da lontano: nel volley non c’è più il “cambio” ed ogni errore frutta il punto alla squadra avversaria. Anni fa vidi una partita in tv e mi resi conto che rispetto alle “amichevoli” nell’ora di educazione fisica, quando andavo al liceo, la pallavolo è oggi tutto un altro sport. Il calcio, il soccer, è forse l’unica disciplina sportiva le cui regole sono rimaste identiche nel tempo. Fatta eccezione per il passaggio di piede al portiere che non consente a quest’ultimo di prenderla con le mani e gli otto palloni a bordo campo (ma sono dettagli) è tutto uguale a un secolo fa. L’altezza media degli uomini è aumentata di parecchi centimetri in confronto alla generazione di Piola e Sentimenti IV. In particolare, i portieri come Franco Tancredi (176 centimetri, secondo Wikipedia)) non ci sono più. Gli “estremi difensori” sono, oggi, tutti giganti di almeno un metro e novanta. Eppure le dimensioni della porta sono sempre le stesse: 7 metri e 32 centimetri di larghezza per 2 e 44 di altezza. Una delle due squadre è in vantaggio e fa “melina”? Il tempo effettivo non esiste. La tecnologia fa passi da gigante, anche nei film di James Bond, ma nel soccer arriva (ma sarà vero?) soltanto uno striminzito sensore sulla linea di porta. Ennesimo no, quindi, alla moviola in campo. In questo scenario, la panchina “lunga”, con dodici calciatori, fortemente voluta dal presidente Aurelio De Laurentiis, deve essere considerata un risultato importantissimo. Chiunque abbia frequentato gli spogliatoi calcistici, anche nella umile e semplice veste di accompagnatore di baby giocatori, sa quanto è mortificante andare in tribuna. La mancata convocazione è vissuta male dagli atleti. Pare che Pandev sia ingrassato di circa dieci chili, nel suo esilio interista, dorato e pieno di poltroncine sugli spalti. Undici in campo e dodici in panchina. Da subito. Sembrava l’uovo di Colombo, eppure Aurelio si è dovuto sgolare per ottenere la modifica della norma. Per gli allenatori sarà molto più semplice gestire il gruppo. Considerando infortuni e squalifiche, molti giovani della Primavera avranno l’opportunità di respirare aria e atmosfera con “tensione a palla”. Nessun mugugno da parte di chi, solitamente, si sente escluso accomodandosi in tribuna vip accanto al presidente. Tutti i panchinari (in linea teorica, ovvio) avranno la possibilità di subentrare. Ma non è semplice e pura teoria. Se, ad esempio e restando in casa nostra, il Napoli vincesse quattro a zero, nell’ultimo quarto d’ora Mazzarri potrebbe fare esordire addirittura il fratello di Insigne e il diciottenne che fa sfracelli in allenamento. Premesso che degli arbitri si devono presumere innocenza e onestà, c’è ancora un muro da abbattere, almeno a mio modesto parere: il loro silenzio. I direttori di gara non parlano con i giornalisti, il referto di fine gara diventa un reperto archeologico misterioso. Solo dopo giorni i club riescono a capire per quale motivo il calciatore è stato ammonito o espulso. Il mio amico Dario, esperto di football americano, mi dice che durante la partita l’arbitro – al microfono, in modo che anche gli spettatori sentano – ferma il gioco e dice, anzi spiega chi ha commesso il fallo, di che tipo di fallo si tratta e che “punizione” viene applicata. Gli arbitri del calcio italiano sono professionisti, potrebbero seguire un corso di comunicazione per andare in conferenza stampa, al termine del match, e chiarire un sacco di cose. Continuando con gli esempi, Mazzoleni avrebbe potuto svelare immediatamente il quarto mistero di Fatima dell’espulsione di Pandev, nella finale di supercoppa a Pechino. Tornando per un attimo alla lettura della palla di lardo dell’ottimo Gianni Mura su Repubblica del 22 agosto, ho appreso che nel colletto interno della maglia della Juventus, c’è scritta una frase di Boniperti: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. A mio giudizio, per quanto sia interna alla maglietta, è una frase che dovrebbe essere sanzionata prima e cancellata poi. Lo strapotere bianconero (e anche di altre “squadre bicolore”) si combatte anche così. Per questo, ma non solo per questo, nel mondo della trasparenza e del web, le decisioni arbitrali dovrebbero essere messe in rete e motivate. Sono il primo a dire che il calcio non è un gioco ma un business. Ma proprio in quanto business, avrebbe bisogno di maggiore chiarezza. Spero quella contro il mutismo degli arbitri diventi la prossima battaglia di De Laurentiis.
Per buon vivere di tutti mettiamo in rete i referti arbitrali
Giuseppe Pedersoli ilnapolista © riproduzione riservata