Lui è il gatto, ed io la volpe, stiamo in società, di noi ti puoi fidar. La citazione del memorabile pezzo di Edoardo Bennato si sposa perfettamente con la “putecarella” sullo stadio San Paolo che ormai va avanti da più di un anno, ossia da quando Luigi de Magistris è diventato sindaco di Napoli. Per chi segue le vicende di Napoli con lo sguardo distante – forse troppo, direte voi – è fin troppo evidente che lo stadio è il nostro Godot. Tra dieci anni – sicuramente con un altro sindaco, chissà se con lo stesso presidente – staremo ancora a parlare di questo.
E i due protagonisti sembrano nati l’uno per fare da spalla all’altro. Compongono una coppia formidabile. E da mesi portano avanti un teatrino che oserei definire dell’assurdo. Ovviamente non all’altezza di Ionescu, per carità. E mentre ogni tanto lanciano progetti che occupano le pagine dei giornali cittadini, nel quotidiano non si mettono d’accordo nemmeno su chi debba rendere l’impianto di Fuorigrotta appena appena decente. L’ultima performance è stata la scenetta sulla genesi della sabbia al posto del manto erboso. Come da copione, il canovaccio è consueto: prima hanno finto un diverbio a distanza, sia su chi fosse la responsabilità (in realtà era chiaro, ma Aurelio non ha gradito che il sindaco lo rimarcasse) sia su cosa fosse realmente accaduto (e questo è più grave, visto che il primo cittadino ha in un primo momento minimzzato l’ipotesi sabotaggio). Poi, però, il tradizionale incontro a Canossa, con le frasi di circostanza del primo cittadino che ha fatto retromarcia. Come se parlare a schiovere fosse ormai un diritto acquisito di un politico.
Ricorderete la querelle estiva, con le accuse di De Laurentiis sui favori che il sindaco avrebbe promesso a Marilù Faraone Mennella (moglie di Antonio D’Amato) su Napoli Est. Anche in quel caso finì a baci e abbracci. E lo stadio resta lì dov’è, e soprattutto così com’è. Più che città porosa (definizione sublime per Napoli), sembra sempre più una città immobile.
Dove, ahimè, registro con dolore che persino Marco Demarco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, giornalista di razza che ha tenuto accesa la fiammella del dibattito in tempi in cui anche una mosca in volo poteva essere considerata lesa maestà, è caduto nel trappolone dell’inutile (e inutile è poco) dibattito estivo sul sentitissimo tema del quartiere a luci rosse lanciato dal sindaco. Dibattito incredibilmente e tristemente alimentato persino dal cardinale Sepe e dal giudice anticamorra Cantone. E anche da Demarco, mio ex direttore e a mio avviso tra i pochissimi a non essersi fatto fagocitare dalle sabbie mobili dell’indifferenza napoletana. Da lui mi sarei invece aspettato un’invettiva per richiamare le autorità cittadine a occuparsi di temi appena appena più attuali. Ovviamente, come anche un bambino avrebbe immaginato, il sindaco e l’arcivescovo hanno firmato la pace dopo le corbellerie dette da entrambi nel caldo agosto napoletano. Ma intanto un altro mese è passato, e tiriamo a campare.
Massimiliano Gallo