Siamo il paese dei “capri espiatori”, Moggi docet, giusto per rimanere nel calcio, ma l’elenco di questa peculiarità tutta italiana sarebbe ben più lungo.
Uno sconosciuto giornalista sabauda registra e manda in onda quello che tutti sanno, ma molti fanno finta di non sapere. Andare a vedere il Napoli in giro per l’Italia, soprattutto da Roma in su, ma non solo, significa respirare quelle atmosfere. Uno scandalo ridicolo, quindi, quello svelato del tg3-Piemonte, paragonabile, per la sua originalità, solo alla scoperta della acqua calda. Il cronista, superficiale e ingiustificabile, si adegua ai suoi beceri interlocutori comportandosi con una incredibile e inquietante naturalezza. Uno straordinario spaccato di televisione verità, sfuggito ai superficiali controlli di qualche caporedattore sbadato, che può far sorprendere solo chi non è mai entrato, con il cuore azzurro, in uno di quegli stadi.
Quella è la triste realtà, e non da oggi. Seguire Diego, a cavallo degli anni 80, a Bergamo, Brescia, Verona, Milano, Torino, anche in contesti molto distanti dai circuiti del tifo ultrá, significava affrontare accoglienze mortificanti e violente. Non ricordo da allora, ad oggi, un solo significativo e credibile intervento, su quel razzismo apparentemente folcloristico, da parte di nessuno, né da Organi Federali, né dal mondo dell’informazione, tantomeno da quello giudiziario.
Chi glielo doveva dire all’anonimo dottor Amandala che un giorno sarebbe riuscito a scatenare una indignazione collettiva così unanime. Tifosi, dirigenti sportivi, comitati di redazione, intellettuali, cronisti sportivi pentiti, una corsa a tagliare per primi la testa di quello sprovveduto. Un grande spreco di energie, perché ho l’ impressione che si sta perdendo l’ennesima occasione per affrontare seriamente il perverso rapporto tra tifo e informazione, preferendo una comoda ripulitura di facciata.
Claudio Botti