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Tonino e il peggior incubo per un padre “malato” del Napoli

Tonino, detto “Vip”, è un amico d’infanzia con il quale ho iniziato a dare i primi calci al pallone. Non ci reggevamo ancora in piedi che la nostra attenzione era rapita da qualsiasi sfera rimbalzante e rotolante. Nel corso degli anni, oltre alla fraterna amicizia, ci siamo appunto fusi e confusi in quelle che sono le nostre due più grandi passioni: il calcio giocato e il Napoli.Abbiamo condiviso anni di battaglie cruente sui locali e fangosi campi di gioco e quasi 40 anni di storia della squadra azzurra e 40 di ferocissima antijuventinità.


Tonino è un personaggio che non riesce a non esprimere la propria passione e carnalità verso il Napoli e il proprio odio viscerale verso la Giuve. È uno di quelli che allo stadio, quando segna Cavani, potresti trovartelo abbracciato ad uno sconosciuto nel settore inferiore al suo. È un entusiasta. Lo è di natura, lo è nella vita. Lo è esageratamente per il Napoli. È uno di quelli che diceva, ad ogni fine partita, fino all’ultima, la stessa frase: “Pià è jucatore. Aspettiamolo, mo’ si sblocca” (oggi lo dice di Vargas, eh). È uno di quelli che, all’ottantesimo ad Eindhoven, diceva: “mò facciamo come a Utrècte”. E se il Napoli vince, vuol bene a tutti. Baci e abbracci a tutti, pure a quelli 10 file più sotto. È come quei fedeli col sorriso permanente che, all’invito del servitore della messa, al segno di pace, danno la mano a tutta la chiesa e la darebbero anche ai chierichetti, al prete e alle statue. Entusiasti di fare la pace col mondo. Ecco, Tonino, al segno del gol, si lancerebbe nella folla e stringerebbe forte uno a uno tutti i tifosi, i calciatori, i panchinari e i giardinieri (no, forse i giardinieri no) e all’istante inizierebbe a prodigarsi coi raccattapalle e decibel Bellini in un “chi non salta juventino è” infinito. Sì, odia la Giuve come se fosse la suocera e ama il Napoli come se fosse un parente stretto, ecco, come se fosse la madre o la moglie.

Difatti, e qui arriviamo al nocciolo, vorrebbe(o imporrebbe) che il piccolo figliolo amasse quei colori, quella maglia, quella squadra, così come e quanto ami la mamma. E che  gli venissero imbarazzi di stomaco al solo contatto visivo della vicinanza del bianco al nero. Infatti, oltre a bandire in casa le parole “Juve” e “Chiellini”, sono stati fatti sparire anche gli scacchi e la dama e le tende dal salotto. Erano bianche e grigio scuro che, in alcuni momenti della giornata, quando la luce iniziava a scarseggiare nella stanza, sembrava trasformarsi in nero. Ora ha dei bei veli azzurri, eh.


Tale padre, tale figlio. Questo doveva essere il sogno di Tonino (e del mio sfigato vicino di casa).


Giuseppe ha quasi 6 anni. È un bambino bellissimo, vispo e simpatico. Biondo come Berhami e con gli occhi azzurro Napoli. Ama follemente la madre, ma odia, ripugna, gli provoca conati di vomito il calcio così come tutti gli sport in cui è impiegata la palla. Ha invece una passione per i vigili urbani e i camion, che diventa incontrollata per i dinosauri (ho scoperto tra l’altro a non essere l’unico bambino ad averla). Se lo vedi scorrazzare per casa, non è perché ha rubato il pallone dalla dispensa e il divano nel salotto è diventato la porta da sfondare, no, dribbla le sedie in cucina e si sbuccia le ginocchia nel corridoio perché è caduto mentre tentava di far volare uno pterodattilo o un tirannosauro di gomma. Il calcio, il pallone, la famosa sfera rotolante, per lui, si riducono appunto ad una semplice e indifferente sfera rotolante. Stop.

Calcio=noia.

Alda è la moglie di Tonino, rassegnata da anni a condividere l’amore del marito nei week-end (e non solo) con almeno altri 11 uomini e succube dei discorsi monotematici che con i suoi amici ama intraprendere ininterrottamente.È una grande cuoca ed io ho una predilezione per la sua pasta alla genovese. Da anni, infatti, ogni qualvolta Alda la cucina, vuol dire automaticamente “sei invitato a pranzo”. E così è stato.

A differenza delle altre volte,  già all’ingresso di casa, l’aria risultava  pesante. E non per l’odore sublime delle cipolle soffritte. Generalmente, non riesco nemmeno ad entrare dalla porta e sfilarmi la giacca che Tonino mi viene incontro sorridente e con le braccia aperte pronte per stritolarmi. Generalmente, e in particolare in questi ultimi periodi, il suo proverbiale entusiasmo investe e sfianca. Il Napoli lo accende.  Il saluto è una domanda “quant simm forti?” e il buon appetito è “arricreammece, comm a ‘o goll d ‘o Matadorr”. In mezzo, e sino al caffé, domande, opinioni, impressioni (tutte entusiaste) sulla squadra fino allo sfinimento, mentre il figlio, sempre generalmente, mi sta azzeccato dietro e mi fa domande di questo tipo: zio Gigi, zio Gigi, costruiamo una caverna? Facciamo il bagno al triceratopo?


Ecco, stavolta, tutto ciò non è avvenuto. Anzi.


Sono entrato in cucina e l’unico suono che ho sentito è stato  un fastidiosissimo e continuo fischio da vigile urbano incavolato che proveniva dal salotto. È la mania del piccolo Giuseppe di regolare il traffico sull’enorme tappeto di casa tra piccoli caravan e camioncini della polizia  in mezzo a pezzi sparsi di animali preistorici. Stop. Niente saluti, niente stritolamenti, niente “simm forti”, niente di niente.


Tonino, seduto a capotavola, scuro in viso, mi ha invitato col gesto della mano a sedermi accanto. Mi sono preoccupato per un attimo. Gli ho gridato d’istinto se fosse accaduto qualcosa. Poi, la spensieratezza di Alda mentre condiva l’insalata, mi ha fatto capire che non si poteva trattare di cosa grave. Più sereno nell’animo ho pensato ad un infortunio, forse di un nazionale.  Mi sono seduto accanto a quell’uomo depresso che, sempre senza parlare, mi ha indicato il salotto. Mi son girato e ho visto Giuseppe incontenibile con un camion in mano e il fischietto in bocca che giocava con la nonna. “Nonna, nonna, fallo passare…pfffffh(fischio)”. E l’ansia della nonna: “Peppe, Peppe mio, non correre che ti fai male. Non camminare che cadi. Non ti fermare all’improvviso che potrei investirti. Non ti muovere che dimagrisci troppo… Marò, comm’sì sciupato. Ma voi la fate mangiare sta povera creatura deperita? Pare quasi che se ne sta scendendo da dentro i panni”…

Tutto normale.

“E allora?” gli ho chiesto “cosa c’è nel salotto che non va?”.

Di solito il tono di voce di Tonino è altrettanto entusiasta, stile Caressa quando segnava Del Piero. Inizia i discorsi con la stessa enfasi. Se si è distratti quell’ “AAAAllora hai capito?…” potrebbe farti venire il crepacuore. Stavolta invece, la voce era bassa e profonda e le parole erano trascinate  e lente, alcune incomprensibili. Sembrava di essere ad una conferenza stampa di Dino Zoff.


Mi si è avvicinato e ha detto: “Ormai da tempo mi sono rassegnato all’idea che Giuseppe  non ami il Napoli. Seppur abbia fatto finta di niente fino a ieri. La vedi quella foto?…” e ha indicato il quadretto appeso vicino alla tv in cui è fotografato De Sanctis sorridente con in braccio Giuseppe infilato in una chilometrica maglia azzurra, il broncio e gli occhi lucidi che guardavano sconsolato il camioncino verde e rosso dell’immondizia che aveva  in mano. “È dell’anno scorso” ha continuato” È da un anno che l’ho capito. Tutti gli altri bambini con i propri genitori a sbracciarsi animatamente per un autografo o una foto e Giuseppe, mentre mi spaccavo in due per raggiungere il nostro portiere, disinteressato che urlava alla madre: “torniamo a casaaaa. Torniamo a casaaa”. Feci i salti mortali per quella foto e non fui ripagato. Ma ora le cose sono cambiate radicalmente.  Lui è cambiato”. Al che, ho risposto sorpreso e quasi stizzito: “cambiato? Ma chi? Giuseppe? E in cosa? Non ho mai voluto approfondire, però te lo devo dire. Va bene sei tifoso appassionato e follemente innamorato del Napoli, come me e altri milioni di tifosi, però tu sei esagerato con tuo figlio. Fin da quando è nato. L’hai ossessionato. Magari a lui piace il calcio e non lo sa, perché ha un padre che vuole imporglielo e che invece ottiene la reazione opposta. Il disgusto e i dinosauri. Ma, in tutta onestà, credo che Giuseppe schifi il calcio a prescindere da te. Sta colpa non te la dare, ma Rassegnati”. E lui: “no, no, non hai capito. Lo so, ci sono arrivato da tempo a quel che dici, ma ti dico che è cambiato. Non è vero che schifa il calcio. Ora ti spiego…”.  Mi si è gelato il sangue per un attimo. Ho pensato a Paolino e a tutti padri tifosi del Napoli che hanno la sventura di avere i figli, cor’e tate, juventini, cor’ingrati. L’ho guardato come quando sbagliava i rigori e mi faceva perdere i tornei. Stranito. No, non ho voluto neanche credere ad una tale disgrazia. Eppure non ho visto vessilli, spille o peluche zebrati in giro. A me è sembrato tutto nella norma: capelli biondi, occhi azzurri, un bermudino nero a quadretti, la maglia col 46 di Valentino Rossi, i camion, il fischio insopportabile, i dinosauri…, l’ansia della nonna… Tutto perfettamente nella norma. Cosa era cambiato in quella piccola testolina bionda?

Tonino, mentre ormai la pasta era al dente, versandomi un po’ di Fiano, mi ha chiamato a sé è mi ha di nuovo sussurrato con un filo di voce, stile Pellegatti a Istanbul: “Non è vero che non gli piace il calcio. Me l’ha confessato ieri. Non è vero”. E io completamente impazzito: “Uh, Geeesù, e mo’?  io te lo dicevo. È colpa del Minao che ci costringe a vedere le telecronache di sky  invece che Alvino ed Auriemma. E questo è il risultato. Che ti aspettavi? ‘O creaturo, a forza di sentire quell’AAAAlex Del Piero, invece di spaventarsi, s’è affezionato. Mi dispiace”. E lui con un risposta netta: “continui a non capire. I fatti sono andati diversamente, allora” e ha continuato “Giuseppe ha sempre odiato il pallone. È pacifico. Solo che ieri mi ha chiesto quando saremmo andati al parco per giocare a calcio con gli altri bambini. Ma tu pensa me. La mia gioia. Dopo anni di ciucciotti e pannolini azzurri finalmente ci ero riuscito. Già mi vedevo proiettato allo stadio con sciarpa,  cappellino  e ‘a trumbettella e Giuseppe. Mio figlio…La triste realtà mi è stata rivelata quando ha spiegato che la dottoressa, a causa di un problemino al piede, gli ha consigliato di correre di più. E lui, che il pallone non vuole nemmeno sfiorare, ha pensato bene di fare ciò che gli altri bambini (e non solo) non farebbero mai in una partita senza regole in un cortile di una scuola. Non farebbero mai nella vita. Gigì, Giuseppe non è juventino. È peggio. È l’arbitro…”.


Si è creata un’atmosfera tipo apocalissi. Dalle finestre, è sembrato entrare il fuoco. L’arbitro?!


Ha continuato: “Stamattina ha costretto la nonna a comprargli, una bottiglia di acqua minerale, una tassoni, sto fischietto insopportabile, un paio di calzoncini neri e la maglia di Valentino Rossi. Al negozio sportivo, non avevano casacche da arbitro con taglie così piccole, così ha scelto di ripiegare sulla 46 gialla fosforescente. E domani, a scuola, visto che gli altri bimbi avranno le solite magliette di Cavani e Vucinic, lui ha pensato bene di andare a correre nel cortile con la maglia di Mazzoleni. Che ti devo dire più? Ora vuole andare al parco a giocare con gli altri amichetti per fare l’arb…” e non ha finito nemmeno di completare il discorso che veniva interrotto bruscamente da un fischio prolungato e “Nonna, ti avevo detto di fallo passare…pffffh… Nonna, nonna, cattellino rosso, cattellino rosso…pffffhhh”.  Due tappi. Quello dell’acqua per le espulsioni e quello della cedrata per le ammonizioni. La nonna veniva scaraventata fuori dal salotto ed Antonio scontava a tavola, con una profumata e buonissima genovese e un ottimo Fiano, il castigo e i turni di squalifica che gli aveva inflitto il piccolo arbitro, prettamente casalingo.


L’arbitro? Il personaggio che nella vita ci ha fatto più incazzare, oltre la suocera naturalmente. Non solo Gonnella, Bergamo, Ceccarini, De Santis, Rodomonti, Rosetti, Rocchi, Rizzoli, il mitico Pisacreta, sino ad arrivare a Mazzoleni, ma mi riferisco anche a quei ragazzi che non so per quale assurdo motivo decidano di  diventare arbitri e farsi  insultare ogni domenica dalla furente ira dei calciatori (e Tonino era un iracondo) e di centinaia e centinaia di altri individui che usano loro e la partita come lo sfogatoio della settimana. E poi, l’arbitro è cornuto a prescindere.


No, l’arbitro, no.


E mentre mi son girato, imprecando e compatendo il mio caro amico “Vip”, si è presentato sfrecciando, con l’andatura frenetica di un piccolo tarchiato Braschi, il sorriso più bello del mondo: “zio Gigi, zio Gigi, cattellino rosso, cattellino rosso, ahahah”. Non ho fatto nemmeno a tempo per ricambiare che un fischio prolungato ha chiuso le ostilità e ulteriori discussioni: pppffffffh, game over al San Paolo!

Il grido che ha zittito tutti, anche, incredibilmente, la frenesia della nonna. Silenzio prolungato. La genovese e il vinello hanno poi eliminato qualsiasi altro argomento. Se non quella di andare a riposare, come Pirlo e Marchisio nel ritiro della nazionale.

Tonì, niente pallone, niente fischi e niente arbitri. Fagli fa la maratona.

Peggio un figlio juventino o arbitro?

Gianluigi Trapani

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