Domande – non dieci, per carità – al presidente Aurelio De Laurentiis: ad ognuna è premessa il “caro presidente”, tutte sono fatte con un gran sorriso che indica l’assenza di polemica.
1 Le interessava davvero l’Europa League? In altre parole: abbiamo perso perché si “doveva” perdere o proprio perché abbiamo fatto schifo?
Non le sembra che l’assenza di pubblico possa essere imputata a questa evidente mancanza di chiarezza e investimento emotivo sulla competizione?
E non è provinciale “snobbare” una competizione che si è comunque conquistata?
Se invece la coppa interessava, non ritiene che siano vere le critiche sollevate oggi da Antonio Corbo su Repubblica? E cioè: è folle che un allenatore parli di incertezza contrattuale alla vigilia di una partita importante e in generale se tra i tuoi protagonisti e i media non metti il cuscinetto della comunicazione, ci saranno scintille e scintille negative. “Comunicazione” – aggiungo io – è anche parlare ai media, proporre temi, sviare l’attenzione dalle cose che bruciano.
E’ stato molto giusto – secondo me – tenere la testa della società fuori da Napoli e lasciamo stare i tanti perché. Però, presidente, ad ogni occasione – che siano le polemiche con la Juve sui tifosi o una coppa bucata male – la società non parla o parla male, “stona”. Capita anche a lei nelle sue dichiarazioni. Non c’è mai una direzione strategica espressa chiaramente e mai una cura, artigianale, amorevole delle cose quotidiane. Presidente, a Napoli c’è il suo pubblico e lei se lo sta perdendo: non le pare venuto il momento di parlare in modo continuo e saggio alla città, anche quando si perde? Lei non trova che a Napoli il presidente della società di calcio sia come un’autorità, uno che deve dire, indicare, governare? Ma dico, informare, non manipolare. Non lascia parlare i risultati e i suoi più immediati responsabili.
Sul lungo periodo, lei non pensa che ci sia da costruire una mentalità? La mentalità, o la cultura se vuole, non ha a che fare con l’allenatore: è l’approccio agli obiettivi, è lo “stile” (sì, la parola dovrebbe ricordare qualcosa) di dirigenti e squadra. E’ l’idea – per esempio – che ogni impegno vale perché c’è qualcuno che ha pagato e perché c’è la reputazione da difendere – già, la reputazione, ieri le abbiamo dato un bel calcio nel sedere, no? Quando in televisione gente che ha fatto calcio a più livelli, quelli seri e onesti intendo, esprimono la loro sfiducia di prospettiva verso il Napoli inteso come grande club e non fuoco di paglia,è di questo che parlano, di questa assenza di cultura, di solidità, di retroterra “psicologico”. E’ quello che lei non è riuscito a portare ancora nel Napoli ed è quello che al Napoli manca. Il pilastro di questa mentalità è la difesa della reputazione: mi rendo conto che questo è il punto dolente dell’intera città e non del solo Napoli, ma la reputazione non è una “coppetta”, presidente, per le persone e per le aziende è praticamente tutto. Insomma, alla società manca una figura alla Adriano Galliani. Galliani, non Marino.
Vittorio Zambardino