Uno striscione che dice “Napoli Colera” e quella canzone che da anni copre di oscenità tutti noi napoletani, non solo gli ultrà di Curva B. La stessa che ha fruttato una squalifica per “discriminazione territoriale” di un settore dello stadio san siro di parte milanista. Solo che questa volta lo striscione e la canzone appaiono nello stadio di Napoli, cantata dall’ala più ultrà del tifo azzurro. Avete letto bene e io sono astemio: gli ultrà del Napoli hanno cantato “Senti che puzza scappano anche i cani/ stanno arrivando i napoletani (…) /Napoli Merda Napoli Colera/ sei la vergogna dell’Italia intera”. E un’altra scritta ha sfidato le autorità del calcio: “Adesso squalificateci”.
Sono gandiani. Gli ultrà del Napoli hanno fatto loro il metodo di Gandhi, in Italia tante volte impiegato in politica da Marco Pannella. La sostanza di quel metodo essendo così riassumibile: vìola la legge che ritieni ingiusta, assumiti pubblicamente la responsabilità di quel gesto, patiscine le conseguenze e fonda su questo la tua azione politica mirata alla presa di coscienza generale dell’ingiustizia della norma.
Mi pare i ragazzotti che oggi hanno protestato con quel canto provocatorio siano, per quanto incredibilmente, nel cuore di questa tradizione politica. Solo che…
Solo che siamo tutti nel mezzo del paradosso. Non tanto perché alcuni di questi giovanotti un po’ grassocci sono stati tra quelli che nel centro di Napoli, qualche tempo fa, hanno realizzato azioni violente contro un paio di locali gay, questo semmai aumenta lo stridore del paradosso. Quanto per la materia del contendere, che fa splendere il paradosso come un faro nella notte. Perché con questo gesto gli ultrà delle varie squadre mettono da parte le più sanguinose offese che si lanciano da anni da un capo all’altro d’Italia, e stringono un patto, chissà quanto consapevole, che difende la loro… come vogliamo chiamarla? A me viene “libertà di espressione”.
Non so francamente se gli ultrà sappiano – ma date certe presenze politiche di estrema destra al loro interno credo proprio di sì – di mettere così il dito sulla principale contraddizione del pensiero e della prassi della democrazia (ma sarebbe meglio dire: dello stato di diritto). Questa: se l’espressione del pensiero è legittima, che cosa sono: l’ingiuria, il vilipendio, l’offesa alla religione, l’istigazione a delinquere, l’affermazione e la predicazione razzista, quella omofobica, quella semplicemente “ripugnante”? Non sono libero – ci dice l’ultrà – di “esprimere il mio odio”?
Voi credete di conoscere la risposta a questo quesito. Che dovrebbe esser questo: chi predica violenza verso gli individui o i gruppi in ragione di un elemento di discriminazione politica, religiosa, razziale, sessuale va colpito. E io concordo, ma ho sempre la tentazione di verificar se in mezzo all’acqua sporca non ci sia un bambino buttato via.
Perché in questa “definizione del problema” c’è chi per esempio propone (il recente disegno di legge sull’omofobia, di recente passato alla Camera, ma non ancora al Senato) che la manica in cui queste affermazioni prendono forma diventi assai stretta. E ancora: la presidente della Camera, onorevole Boldrini, spinge da mesi, con una campagna molto forte, perché qualsiasi linguaggio che offenda le donne sia collocato in una fascia che sta fra l’illegalità e l’inaccettabilità sociale (due cose diverse fra loro, la seconda è pacifica e auspicabile).
E’ in questo clima nazionale che si inserisce la decisione delle autorità calcistiche di sanzionare la “discriminazione territoriale” negli stadi. Non sono pochi coloro che vedono in questa ondata di “pulizia verbale” seri problemi giuridici relativi alla libertà d’espressione dell’individuo. Ma sono pochi. La maggioranza dei politici e dei media vuole la sanzione. Vuole la “polizia verbale”.
Ma se la società la pensa così, il problema logico e giuridico si apre: la libertà di esprimere la propria opinione vale solo per le opinione “accettabili”? O non si estende anche a quelle manifestazioni in cui si sostengono idee e posizioni che la maggioranza delle persone fa oggetto di “stigma” culturale, morale, sociale LADDOVE non vi sia la commissione di un reato “materiale”, di un’azione delittuosa? Dove un altro problema si presenta ed è quello di comprendere come si combattono certe posizioni aberranti: con la repressione o con la convinzione? O forse solo lasciandole esprimere?
E’ questo lo spazio dove la provocazione ultrà di oggi – consapevole o meno, ma io ritengo consapevolissimamente – mette il “piede nella porta” con qualche chance di tenerla aperta. L’ultrà ci fa capire (mi viene un conato di vomito a scriverlo, ma è così) che il proibizionismo delle parole trascina la democrazia sul più scivoloso dei terreni: quello su cui essa nega stessa e i suoi principi.
Ecco, ora poiché l’Italia è uno strano e dannato paese, a questo punto del pezzo ci sarà chi si affretterà a scrivere sotto le mie righe la parola “fascista” e chi mi accuserà di essere il peggio del peggio fra antisemiti e omofobi. C’è sempre un danno collaterale in queste situazioni: che vieni offeso da entrambe le parti – in questo caso dall’ultrà e dal ben pensante. Eppure a me quella canzone sui napoletani offende nel più profondo del cuore e se solo gli ultrà del Napoli percepissero quanto disprezzo e quanto odio ci sono dentro, si guarderebbero bene dal cantarla. Ecco, ma come farglielo capire? Con la punizione?
Eppure l’unica forza della democrazia è quella di saper sopraffare i suoi nemici con il consenso, la consapevolezza, la conoscenza della gravità delle parole. E con la tolleranza, ovviamente sapendo distinugere tra parole e atti quando questi diventino reati. “Far accadere” le cose è la sola via che può aprire le coscienze. La mia generazione gridò “Lo stato borghese si abbatte, non si cambia”, ma solo chi si fece terrorista finì in galera.
Gli ultrà non lo sanno, che quella canzone è offensiva, perché semplicemente sono abituati ad offendere a loro volta i sentimenti dell’altro. Come l’omofobo non sa tutto il dolore e la storia tragica che ci sono nei diritti che lui nega. Ma punirlo per come parla, gli farà cambiare idea?
Loro non lo sanno cos’è il dolore e l’offesa. Noi sì. Perciò dovremmo lasciarli parlare. La libertà è tale anche per gli idioti.
Vittorio Zambardino
“Napoli colera”: ma la libertà è tale anche per gli idioti
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