E’ stato poco dopo mezzanotte, quando uno degli ospiti presenti ha donato un mazzetto di mimose all’unica valletta in studio, che alla Signora in Giallorosso, la più nota trasmissione romanista, che è esploso il dibattito, anzi il tormentone: perché non tornare al gemellaggio tra Napoli e Roma, rotto nel 1987 col famoso gestaccio di Bagni nonché con l’arrivo del laziale Giordano? Sull’elemento del tifo ha preso però il sopravvento il ragionamento intorno al potere calcistico. Un’ossessione per i giallorossi. Ossia un’alleanza solida tra le due società per arginare le odiate sorelle nordiste: Juve, Inter e Milan. Qualcuno in studio, Giubilo, ha ricordato che Dino Viola ci provò ma Ferlaino lo mollò. Insomma, una discussione da salotto in cui un altro ospite ha ricordato che il Napoli è un’altra squadra che gode dei favori arbitrali. Ci sarebbe molto da dire sulla radice cultural-calcistica di questo approccio, che nega ab origine la natura benigna del pallone. Il calcio è un affare sporco (e Calciopoli ha contribuito non poco a consolidare questo fideismo) ed è indispensabile andare in guerra con le alleanze giuste e strategiche. Ma il punto principale non è questo per me. Ormai la questione del gemellaggio è diventata stucchevole, a furia di parlarne o rimpiangerla. Appartiene a un’epoca remota. Allora c’erano i Cucs e i Cucb. Oggi la mappa e la composizione del tifo sono cambiate radicalmente. I Cucs non esistono più e c’è stato uno slittamento ideologico a destra nelle curve della Roma, unico rigurgito politico degli ultimi due decenni. Per il resto, lo stadio è diventato un contenitore di rivendicazioni sociali, e non solo, a 360 gradi. Dalla disoccupazione al ricordo degli amici morti, dalla lotta contro la concezione finanziaria delle partite (la logica del profitto, eh caro Adl?) ai cori e alle cariche contro gli sbirri, quest’ultimo l’unico, vero terreno comune tra le tifoserie (come dimenticare quella marcia di laziali e romanisti dopo l’omicidio di Sandri?). Ecco, ricordare il gemellaggio ogni volta che si gioca contro la Roma è diventato anacronistico, oltre che stucchevole, secondo me. Anche per altri motivi. Al di là dell’odio tra le due tifoserie ultras, Roma e Napoli sono gemellate nei fatti come città. Il numero dei napoletani che lavorano nella Capitale è altissimo e ha una rappresentazione plastica proprio all’Olimpico: se il Napoli segna si esulta in ogni settore, in migliaia. Lasciamo stare il gemellaggio criminale (pizzerie e bar in pieno centro, quello del potere politico) e ricordiamo poi che il nostro presidente vive e lavora a Roma. Di che stiamo a parlare allora? L’ultima ragione che rende superfluo questo dibattito è che ci stiamo avviando a una nuova era, quella degli stadi trasformati in centri commerciali, dove difficilmente ci sarà posto per i tifosi ospiti. Non solo. Ieri, alla Signora in Giallorosso, hanno parlato per più di un’ora del nuovo stadio romanista ed è emersa la preoccupazione che i biglietti saranno talmente cari da escludere le fasce meno abbienti. Un modello americano più che inglese. Non è più il tempo dei panini con la frittata e dei giri per tutto il campo dei capi-ultras rivali ma gemellati. Che piaccia o no. Per la cronaca: di Napoli-Roma si è parlato pochissimo. Frasi registrate: “Garcia è un fuoriclasse, Benitez è un buon allenatore come Mazzarri o Allegri”; “Benitez è un minestraro di successo”; “Per due terzi, centrocampo e difesa, siamo più forti noi. Loro sono migliori in attacco ma se togli Higuain sono da quinto posto, mentre noi senza Totti siamo rimasti al secondo posto”. Fabrizio d’Esposito
Napoli-Roma e l’anacronistico dibattito sul gemellaggio
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