Ho un moto di solidarietà per Antonio Conte e vi assicuro che non sto prendendolo in giro. E non parlo solo dell’articolo del Times di cui riferiva ieri il Giornale qui, parlo proprio dal suo sempre più evidente maceramento interiore di queste settimane. E si macera a tal punto che – questa è la tesi in alcuni accreditati ambienti – spinge anche il buon direttore Marotta e quindi il club tutto a fare di una misera partita di calcio, giocata quasi due settimane fa, una guerra dei trent’anni di polemiche su budget e buon gusto. Ma andiamo con ordine.
Ricominciamo dal servizio del Times segnalato ieri. C’è un pregiudizio anti italiano che scatta nella stampa internazionale ogni volta che bisogna parlare di imbrogli, disonestà, “tràstole”. Quella di indicare l’italiano come simbolo del male. Succede da decenni. Da molto prima della pistola sugli spaghetti del tedesco Der Spiegel, ed erano gli anni ’70, mi pare. Insomma Conte paga l’essere italiano e un po’ di viltà dei giornalisti londinesi che fanno con lui ciò che non farebbero con un loro connazionale. Gli costerebbe cause da milioni di sterline. E gli costerebbe perché indagini a carico di Conte ci sono state e lui ne è uscito libero da ogni ipotesi di reato. Nei paesi civili, come la Gran Bretagna, questo non significa continuare con la scia dei sospetti per anni. Significa piantarla lì con il sarcasmo e le insinuazioni (invito che estendiamo ai nostri confratelli di tifo).
Ma Conte non è tranquillo da ben prima del servizio del giornale londinese. È dall’estate che non rinuncia a usare la “banderilla”, soprattutto sulla rosa e il mercato della società. Fino al botto sugli scudetti di Capello revocati, dichiarazione poi smentita con forza, ma la tecnica la conosciamo. E io non ne capisco le cause. Vede in forse per qualche motivo la sua prospettiva di una carriera da top manager internazionale alla Mourinho, nella o fuori della Juventus? Prova ad aprire conflitti intra societari per ottenere con le dichiarazioni ciò che al tavolo della trattativa, personale e di mercato, non gli danno? Lo disturba che una critica venga da Benitez, uno che nel calcio internazionale conta qualcosina, uno che scrive su internet in tre lingue e se alza il telefono parla con chi vuole? Non so se tutto questo spiega l’elezione del Napoli a capro espiatorio della sua rabbia. Possibile.
Perché – vedete – qui siamo a “Bile Continua”. Per esempio lunedì sera, dopo il Livorno, è arrivata una dichiarazione, recitata come se fosse il bollettino della vittoria di Diaz, gli occhi fissi verso un orizzonte lontano, con quel bisogno (diciamolo: ossessivo) di ripetere, col viso distorto dalla sofferenza, che solo Juve e Roma stanno facendo qualcosa di importante. Antonio, stai sereno: la classifica parla per te, il Napoli è un buon cavallo, tu sei Varenne, hai vinto con merito e nessuno lo discute, almeno non noi. Però, però non mi convinci e non mi convincete, mi date l’impressione, tu e Marotta, tu e la società di parlarvi e dirvi il vostro conflitto attraverso le maleparole che mandate al Napoli.
Non mi convincete perché se si elimina la fibrillazione di Conte come origine di ogni malessere, di ogni protesta, davvero questa posizione “elettrica” della Juventus non si spiega. Non si capisce questo bisogno di replicare cento volte a un colpo solo, contro un avversario solo, in realtà Benitez, che ha detto una cosa di buon senso che sta nei numeri (che possiamo fornire, a richiesta).
E qui, sulle spese di mercato e sullo stato dei conti, forse fa capolino una diversa possibile interpretazione della vicenda. I conti della Juventus sono ancora salati perché in passato si è speso molto e molto per il futuro si potrà spendere se solo si venderà, per esempio, un Pogba. Questo agli azionisti, anche piccoli, non sfugge. Questa per l’azionista si chiama “perdita di valore”. E l’azionista, che del tifo si interessa assai poco perché tifa per il suo patrimonio, quando manifesta insoddisfazione lo fa con molti understatement sussurrati che però valgono dieci volte la furia di Conte.
Può rafforzare la nostra ipotesi uno sguardo all’andamento del titolo Juventus sul sito del Sole 24 ore (a questo link). Se osservate l’andamento a tre mesi, vedrete che a un picco (di acquisti) attorno alla metà di marzo, quando è chiaro che lo scudetto 2014 non è più in discussione, segue poi una lenta flessione, frutto forse di “prese di beneficio”, cioè di vendite, da parte di chi non crede ad ulteriori miglioramenti e si affretta a realizzare. Il grafico ci dice poi che negli ultimi tempi la calma si impone e c’è meno euforia, pur in presenza di una situazione positiva. E allora, perché ce lo dici se non vediamo nessun “crollo”? Allora potrebbe essere questo che segue.
Ho lavorato a lungo come manager in un’azienda quotata e so bene che lì ogni parola della comunicazione della società verso il pubblico, ogni articolo di giornale non positivo, ogni minimo gesto sbagliato del management (e Conte ne fa parte) è sacrilegio – ed è vero l’inverso, ogni dichiarazione positiva, rafforzativa, risuona nella cassa di risonanza dell’azionariato con una sua valenza specifica. Provati a tradire questo aspetto della “policy” aziendale e vedi cosa ti succede. E ciò perché ogni gesto o parola può danneggiare l’andamento del titolo – pensa te, l’allarme che a Torino può aver provocato il servizio del Times per i possibili effetti su qualche fondo di investimento straniero che magari si riprende il suo zero virgola che però son tanti soldi. Altro che strapazzare un tifoso come fa “O’ Presidente” (se il Napoli fosse quotato, il titolo in questo momento sarebbe negli scantinati). Quando sei quotato contano gli aggettivi, quando sei quotato sei nervoso e non puoi prendere a calci nessuno se non un finto nemico, un capro espiatorio. È questa la differenza fra le imprese familiari e quelle quotate in borsa.
Bisognerà continuare a chiedere in giro, a consultare i tarocchi e lanciare i bastoncini presi nella discarica di Giugliano che hanno particolari poteri magici. Questo mistero va compreso. La Juventus è nervosa. Vincente (ancora una volta: bravi, congratulazioni) e sull’orlo di una crisi di nervi (sia sempre lodato Pedro Almodovar per averci dato il più vieto dei luoghi comuni).
Vittorio Zambardino