È uno strano caso quello di Cesare Prandelli. Attorno alla figura del commissario tecnico della Nazionale si è creata un’aura di intoccabilità, una sorta di devozione per un uomo che sembra, quasi controvoglia, arrivato chissà da dove con la missione di prenderci per mano e riportarci sulla via dell’educazione, della civiltà, del rispetto per gli altri. Un ruolo, quello del profeta che traccia la strada, che piace tanto ai mass-media, eternamente alla ricerca di un modello da seguire, di un esempio che finalmente smentisca quella riduzione dell’umanità a legno storto.
E lui, Prandelli da Orzinuovi, ci crede veramente. Si è calato a tutto tondo nel personaggio. Non fa nulla per spogliarsi degli abiti che oseremmo definire laicamente talari. Le sue non sono dichiarazioni, sono perle su cui riflettere. Potremmo ironicamente definirle cross, per non essere blasfemi e chiamarle parabole.
Meriti, il buon Cesare, ne ha, figuriamoci. Ma il quadro non è così immacolato, com’è naturale che sia. Già da allenatore della Fiorentina, Prandelli si inventa il cosiddetto terzo tempo calcistico, coi calciatori che a fine partita restano sul campo per salutarsi. Un’iniziativa importante, che magari la Federazione e i media avrebbero dovuto supportare di più. Poi, però, succede che un suo calciatore, Gilardino, segna un gol con la mano e l’arbitro non se ne accorge. Prandelli appare meno risoluto del solito. Ammette ma difende il calciatore. Insomma, fa gli interessi della sua parte, la Fiorentina, che presenta persino ricorso contro la squalifica dopo la prova tv.
Anche il codice etico, in sé, è una operazione importante. I calciatori della Nazionale squalificati in campionato per comportamento scorretto o gioco violento non possono essere convocati in Nazionale. Poi, però, alla prova dei fatti, com’è logico che sia, prevale la logica machiavellica. E così, se a essere squalificato per una gomitata è un giocatore di seconda scelta, il codice si applica, altrimenti si chiude un occhio. È successo recentemente con Chiellini. Ma è successo anche agli scorsi Europei, quando il coinvolgimento di due Nazionali nel calcio scommesse venne gestito in maniera diversa: Criscito restò a casa e Bonucci fu arruolato. Come avrebbe fatto un Lippi qualsiasi, grandissimo allenatore senza la pretesa di impartire lezioncine morali. E sorvoliamo sulla comparazione dell’albo d’oro perché non è questo il tema.
Due anni fa, sempre in occasione degli Europei, fece storcere il naso la scelta di aggregare allo staff della Nazionale, in qualità di esperto di preparazione atletica, il figlio di Prandelli, Niccolò. Decisione che creò non pochi imbarazzi in Federazione.
Si snoda più o meno sempre così la vita pubblica di Cesare Prandelli. Segnata da una tragedia, la prematura scomparsa della moglie al termine di una lunga malattia. Per starle vicino, Cesare rinunciò alla panchina della Roma. Era il 2004. Un gesto che commosse l’Italia del calcio e non solo. Un episodio che ha ispirato l’ultimo romanzo di Marco Ciriello “Per favore non dite niente” edito da Chiarelettere. Un romanzo in cui, spiega l’autore a Repubblica, «il personaggio è sì ispirato a Prandelli ma è una somma di personaggi, da Di Bartolomei a Scirea, da Zeman a Valdano. Il mondo del calcio è trasfigurato». Prandelli non viene mai citato. Eppure il buon Cesare, attraverso la Federazione, ha inviato una diffida alla casa editrice: «Vi diffidiamo dall’utilizzare il nome, il ritratto e l’immagine del signor Prandelli in qualsiasi iniziativa promozionale o di comunicazione o di lancio del libro. Inoltre ci si riserva ogni diritto, incluso quello di agire per l’inibitoria della diffusione al pubblico del libro, per il suo ritiro dal mercato e anche per il risarcimento del danno qualora il contenuto dell’opera fosse lesivo del nome o della reputazione del signor Prandelli”. Eppure, spiega l’autore a Repubblica, «sapevano tutto, ho inviato il libro a Prandelli quattro mesi fa».
Ancora una volta il mondo del calcio si comporta come farebbe la nomenclatura di un paese socialista negli anni Settanta. E ancora una volta Prandelli dimostra che Kant ne sapeva più di lui a proposito dell’uomo.
Massimiliano Gallo