Ci sono eventi spartiacque nella vita di una città. Eventi che sanciscono un prima e un dopo. Spesso sono le reazioni dei protagonisti a determinare la frattura, a chiudere un periodo e aprirne un altro. Accadde nel 2004 in Spagna. L’11 marzo. Quando la stazione ferroviaria di Atocha, a Madrid, saltò in aria e il governo di Aznar negò la matrice islamica attribuendo l’attentato all’Eta. Un fiume di persone si riversò spontaneamente in strada e le imminenti elezioni politiche – che sembravano senza storia – sancirono la sorprendente vittoria del socialista Zapatero. Gli spagnoli non perdonarono al Governo la bugia. La bugia sui loro morti.
Di esempi ne potremmo riportare tanti. In questi giorni a Napoli sta accadendo qualcosa di simile. Le immagini, i servizi, le fotografie di Scampia, della camera ardente di Ciro rendono l’idea. Una città, una discreta fetta della città si è trasferita a Scampia. Chi fisicamente, magari mettendo piede in quel quartiere per la prima volta. Chi solo attraverso le immagini, e intimamente. Per rendere omaggio a un giovane morto di calcio. E alla sua famiglia. A una madre che non ha mai avuto un attimo di debolezza, che non ha mai derogato dal suo composto e inesauribile dolore. A uno zio che non ha mai perso di vista la battaglia “politica” da condurre nel nome di Ciro: avere giustizia, punire chi non ha garantito l’ordine pubblico la sera del 3 maggio, e mai più violenza: mai violenza nel nome di Ciro. Proprio da Scampia, il rione italiano mediaticamente associato alla vendetta.
Ma non è questo il punto. Il punto, che ci piaccia o no, lo ha colto Luigi de Magistris, sindaco di Napoli. Uno dei più criticati primi cittadini della città. Sin dalla sera del 3 maggio, de Magistris si è schierato. Senza avere dubbi. Quei dubbi che – sarebbe ipocrita non ammetterlo – tanti di noi hanno nutrito per il ruolo di Ciro quella sera a Tor di Quinto. È stato de Magistris a spezzare per primo il corso di notizie che ineluttabilmente si gonfia quando si parla di Napoli. Ha deviato da Genny ’a carogna – vera e propria arma di distrazione di massa – e ha posto una questione: Ciro è in lotta tra la vita e la morte e viene indagato? E, soprattutto, è stato il primo a cogliere il senso di rabbia, frustrazione e smarrimento di una città che si è vista sbattere in prima pagina come il mostro anche quando è stata vittima di un agguato. Il rapporto di esposizione mediatica tra Genny e Daniele De Santis, l’uomo accusato di aver ucciso Ciro e legato ad ambienti neonazisti romani, è stato di trenta a uno. A voler essere benevoli.
De Magistris ha colto un sentimento che da tempo cova in città. Che è fortissimo. E che sin qui nessuna forza politica è riuscita a intercettare. Un sentimento che si acuisce sempre di più a ogni battuta stereotipata; a ogni sorrisino che ricorda quelli di Merkel e Sarkozy nei confronti di un ex presidente del Consiglio; a ogni servizio giornalistico infarcito di luoghi comuni. Quando c’è da fare un paragone in negativo, aggiungi Napoli che non ti sbagli mai. È il tema dominante in città, in una parte rilevante di città. Ben più di Bagnoli, del lungomare più o meno liberato, di una città corrosa da una crisi economica che non accenna a ritirarsi.
La novità, che segna uno spartiacque, è che stavolta de Magistris ha zittito tutti. E ha dettato la linea. Senza che nessuno dicesse a. Alla notizia della morte di Ciro, il sindaco non ha tentennato: lutto cittadino. E lo ha motivato in prima pagina sul Corriere del Mezzogiorno, il quotidiano da sempre meno tenero con lui. Le motivazioni del lutto cittadino sono state posizionate come articolo di fondo, sia pure con l’incipit “caro direttore”. Un articolo politicamente impeccabile, in cui il sindaco ha sottolineato l’esempio della famiglia Esposito e posto con forza il tema dell’attacco mediatico subito da Napoli. «La morte di Ciro – ha scritto – apre una ferita profonda nella nostra comunità, per questo la decisione di proclamare il lutto cittadino». E già questo basterebbe. «Ciro era una persona per bene, un tifoso del Napoli, un ragazzo di Scampia: perché si può essere per bene anche se si abita a Scampia e se si è tifosi accaniti. Lo dico ai tanti che, in modo strisciante, generando una pastoia di razzismo e clichè, di moralismo e luoghi comuni, hanno, maliziosamente, cercato di veicolare un messaggio contrario…». E infine: «La città di Napoli, e questo da sindaco ho il diritto-dovere di sottolinearlo, fin dai primi momenti successivi agli accadimenti del 3 maggio sera, è stata oggetto di un tentativo di strumentalizzazione e mistificazione inaccettabile: finita sul banco degli imputati, collettività processata, città vittima trasformata in soggetto carnefice».
Un vero e proprio manifesto di orgoglio cittadino. Su cui in tanti hanno taciuto. Parole che non hanno sollevato dibattito. Almeno pubblicamente. Qualcosina è apparso sul Corriere della Sera in prima pagine nello stesso giorno in cui il Corriere del Mezzogiorno pubblicava de Magistris come editoriale. Da Milano, il Corriere ha timidamente sollevato qualche dubbio sul lutto cittadino. A mezza bocca e giustificandolo con la mitezza della famiglia e la loro richiesta di abbassare i toni. Quel che in realtà non pochi pensano, fuori Napoli ma anche a Napoli, nessuno ha il coraggio di dirlo. Nessuna voce pubblica si è levata. E in politica, si sa, chi tace ha perso. Non sappiamo, e in questo contesto, al momento, poco ci interessa, quanto sia stata strumentale la posizione del sindaco.
Quel che non possiamo esimerci dall’osservare è che, mai come in questo momento, de Magistris ha stabilito un rapporto diretto e intenso con Napoli. Mai come in questo momento, è percepito come il rappresentante di Napoli. Come chi non si è vergognato di difendere la sua gente che si è sentita offesa per il trattamento ricevuto dalla sera della finale di Coppa Italia e che oggi piange un figlio.
Non sarà facile dimenticare il contrasto tra l’immagine del sindaco a capo chino nella camera ardente di Ciro, con la fascia tricolore, e i sorrisi alla festa di Marinella. Spesso sono i dettagli a fare la differenza. Sono attimi. È successo qualcosa a Napoli in questi cinquanta giorni. In periferia. Accadde anche nel ’96, quando al quadrivio di Secondigliano si aprì una voragine e morirono undici persone. Per alcuni osservatori della vita napoletana, cominciò lì la fine dalla fase propulsiva del cosiddetto Rinascimento napoletano. Oggi, in quella periferia, l’unico politico citato dalla famiglia Esposito è stato Luigi de Magistris.
Massimiliano Gallo