Un altro papà che sognava un figlio calciatore, un altro figlio calciatore che è lo specchio della nuova società. I de Guzman sono due volte esemplari. Bobby è un signore filippino emigrato in Canada, dove a Scarborough, Ontario, si fa una posizione da manager nel settore delle nuove tecnologie. Sposa una donna giamaicana, nascono Julian e Jonathan. Bobby è malato di calcio. Educa i figli al mito del pallone. Certo il Canada non è il posto ideale, non offre granché. A Julian, il primogenito, appena possibile, viene finanziata la possibilità di frequentare l’accademia giovanile del Marsiglia. Ma il vero talento in casa è Jonathan. Nelle strade del sobborgo di Toronto gioca ad Ice Football, il calcio sull’asfalto ghiacciato. Gioca con ragazzi più grandi di lui, la voce gira, le squadre locali entrano in competizione per tesserarlo. Fino ai suoi dodici anni, quando chissà per quale strano giro nella rete globale degli osservatori, a papà Bobby offrono due settimane in prova per il piccolo Jonathan in Olanda, al Feyenoord. Bobby mette la famiglia sul primo aereo, dà un bacio al piccolo e lo spedisce laggiù. “Fosse stato per mia madre – spiegherà più tardi Jonathan – non sarei mai partito, ero il piccolo di casa”.
Riepiloghiamo. Un ragazzo nato in Canada, figlio di un filippino e di una giamaicana, arriva in Olanda. “Mio padre racconta dei miei lunghi pomeriggi trascorsi accanto alla finestra a piangere, per tornare a casa, ma io non ne ricordo neanche uno. A me pare di essermi sempre divertito, anche quando non conoscevo neppure una parola di olandese. Ho imparato in fretta”. Le due settimane in prova vanno bene. Il Feyenoord lo tiene. A 18 anni debutta in prima squadra in una partita in casa contro il Psv. Willem van Hanegem, leggenda dell’Olanda anni ’70, lo vede e lo paragona a Zinedine Zidane. È normale in Olanda crescere con tanta pressione addosso. Per Jonathan il problema è un altro. I suoi non sanno riempire il vuoto lasciato dai figli volati in Europa. Si separano. “Sono dovuto diventare grande in fretta, ho dovuto imparare da solo a capire cosa fosse bene e cosa male. Mio fratello all’epoca era in Germania, appena possibile mi mettevo in treno e correvo da lui”.
Il bisogno d’affetto di Jonathan lo colma l’Olanda. “È il paese che mi ha fatto diventare uomo”. Jonathan si dichiara disponibile per le sue nazionali. In Canada ci rimangono malissimo, la reazione è ostile, un giornale in un titolo gli dà del traditore. “Ma il Canada – spiega lui – non è un paese per calciatori, ne produce di buoni, ma poi dobbiamo passare l’Oceano. Perché avrei dovuto giocare per il Canada?”.
Tutto il resto va veloce. Laudrup lo vede nel Villarreal e lo vuole con sé allo Swansea. Jonathan lascia che i suoi due figli crescano in Olanda e va. Li raggiunge nei weekend di libertà. L’Olanda lo chiama. Gioca i Mondiali. Suo fratello Julian, più grande di sette anni, oggi gioca nello Xanthi, in Grecia. Napoli riporta Jonathan più vicino a lui. È frequente ora vedere Jonathan conun berretto dei Toronto Blue Jays. “Sono mezzo giamaicano e mezzo filippino, ma mi sento mezzo canadese e mezzo olandese. Dopo Swansea anche un po’ gallese”. E presto un po’ napoletano.
Desmond Digger