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Dal gol di Cassano a quello di Maxi Lopez: perché il Napoli commette gli stessi errori

Dal gol di Cassano a quello di Maxi Lopez: perché il Napoli commette gli stessi errori

Però le cose vanno dette tutte e con chiarezza. La squadra è la stessa, il gioco è lo stesso, gli errori sono gli stessi. Quello che il Napoli sbagliava un anno fa, continua a sbagliare pure quest’anno. Dopo un’estate di buone sensazioni, venute dalle prime amichevoli e dal positivo inserimento di Koulibaly al centro della difesa, scopriamo che la fase difensiva vive pari pari le stesse difficoltà della stagione passata. Il gol preso dal Chievo a molti ha ricordato l’azione da cui nacque la rete segnata da Cassano nell’ultimo Napoli-Parma. Un pallone perso nell’altra metà campo, una volata avversaria senza ostacoli palla al piede verso la porta. Fu proprio Cassano ad andare al tiro, domenica invece il pallone è finito al centro per Maxi Lopez. Le analogie con altre azioni da cui abbiamo preso gol sono tante. C’è stato più di un errore nella stessa azione di ripartenza del Chievo. 1) Callejon si fa sorprendere in copertura e Inler rincorre a vuoto il contropiede del Chievo: non ha il passo per tenere quel ritmo. 2) Sul passaggio di Birsa verso il centro del campo, Albiol si fa tagliare fuori. 3) Zuniga è arretrato rispetto alla linea dei difensori e non fa scattare il fuorigioco. 4) Ancora Zuniga si muove tardi e male per la diagonale di chiusura su Maxi Lopez, riuscendo solo a sfiorare il pallone.

Quattro errori nella stessa azione sono effettivamente troppi. Nel clima di autodafé che circonda il Napoli (un clima che si riassume così: la porzione più rumorosa del tifo contro De Laurentiis e l’opinionismo locale a caccia di Benitez), sono tornate sulla scena le critiche al cosiddetto integralismo tattico dell’allenatore e alla sua predilezione per il 4-2-3-1. Vale sempre la pena ricordare che il 4-2-3-1 è il modulo più diffuso sulla scena internazionale, giacché vale sempre la pena ricordare che il calcio si gioca un po’ in tutto il mondo e non solo a Napoli. Il 4-2-3-1 altro non è che una variabile del più classico e popolare 4-4-2 , atteggiamento con il quale il Napoli è solito difendersi chiedendo a Callejon e Insigne un supplemento di fatica nella fase di ripiego. Come si vede dalla foto, pur essendo partita in velocità, l’azione del Chievo non si può definire di contropiede. Cominciata sì come un’azione di contropiede, dopo un pallone perso dal Napoli nell’altra metà campo, l’azione del Chievo è stata rifinita a uomini pari. Nel momento in cui viene servito Maxi Lopez, il Napoli ha cinque giocatori dietro la linea della palla, così come sono cinque i calciatori del Chievo impegnati nella fase offensiva. Non eravamo in inferiorità numerica, non abbiamo preso gol perché il 4-2-3-1 sbilancia la squadra e le toglie equilibrio. Dal mio punto di vista non abbiamo preso gol neanche per un gap atletico, a meno che non si pretenda da Inler che si trasformi all’improvviso in Valery Borzov. Non è un gap di squadra. Il Napoli corre: a Genova e con l’Athletic al San Paolo ha fatto le sue cose migliori nel finale, quando invece gli avversari già non ne avevano più. Sintetizzando, non c’è un problema di tenuta fisica e non esiste una questione di modulo in sé e per sé.

Ma allora perché sbagliamo sempre le stesse cose? Esiste, dal mio umile punto di vista, una questione che si ripropone e che riguarda gli esterni, che sono i giocatori chiave nel 4-4-2 (o nel 4-2-3-1). Sono loro a dover garantire una funzione di elastico. L’anno scorso il Napoli soffrì in termini di equilibrio, spazi e movimenti sbagliati per una serie di infortuni a catena nello stesso ruolo: a ottobre iniziarono i problemi di Zuniga con il ginocchio (39 partite saltate), Maggio era convalescente dopo l’operazione al menisco di fine settembre, a novembre Mesto si ruppe il crociato. Tanto che, complice l’inadeguatezza di Armero, il Napoli corse ad attingere alla lista degli svincolati prendendo Reveillere. Tre delle 6 sconfitte in campionato arrivarono fra il 18 ottobre e il 23 novembre (più Dortmund il 26 novembre). Oggi il punto debole è di nuovo quello: Ghoulam si è rotto un braccio, l’involuzione di Maggio è evidente, Zuniga resta vulnerabile nella fase difensiva. Ecco perché Benitez aveva puntato in estate sulla novità tattica del terzino bloccato, provando Britos a sinistra. Si trattava di un espediente che doveva garantire più copertura e più libertà offensiva all’ala sinistra, a Insigne o Mertens. Non era una cattiva idea e lo dico ricordandomi tutto di Britos. Aspettando Ghoulam e che Zuniga si integri (di fatto non ha mai giocato con Benitez), sperando che Maggio si riprende, chiediamoci nel frattempo come se ne esce. 1) avendo il coraggio di riprovarci, riproponendo Britos sulla fascia e lavorandoci. 2) riproponendo lo stesso spunto ma sulla fascia opposta, con Henrique laterale destro, un’idea già vista in qualche caso nella stagione scorsa.

Ha sbagliato qualcosa Benitez? Certo che sì. Il calcio è sport di squadra, si vince insieme, si perde insieme. Secondo me non ha sbagliato quello che gli viene rimproverato in questi giorni, non la tattica, non la preparazione atletica, ma qualche piccola cosa qua e là, come capita a tutti gli allenatori: una volta un cambio, una volta un titolare, e poi ognuno ha le sue idee e le sue convinzioni. Ma la parola progetto comprende anche passaggi a vuoto e attraversate nel deserto, un progetto richiede tempo e pazienza. Il Napoli non è più debole dell’anno scorso, il mio parere è che in un paio di cambi abbia addirittura guadagnato qualcosa (Michu è più forte di Pandev, Koulibaly più di Fernandez). Diventa più debole perché deve vivere in questo clima, costretto a giocare con la paura dei fischi e della contestazione. Non si demolisce un palazzo alla prima infiltrazione d’acqua. Si può continuare a credere nel progetto di Benitez anche dopo sconfitte che fanno male. Bilbao ha viziato ogni prospettiva. Ha concesso fiato a chi non vedeva l’ora di soffiare sul fuoco. Ma la strada di Benitez è la sola in grado di offrire al Napoli una visione di grandezza, dove grandezza significa capacità di giocarsela, non obbligo di vincere. La sgangherata città di Napoli ha una grande squadra di calcio. Grande, non grandissima, eppure non riesce a godersela.
Il Ciuccio

p.s. Ho letto da qualche parte che nella vita importa non già di essere forti, ma di sentirsi forti. Di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani, e la propria testa. 
(dal film Into the Wild)

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