
In una giornata che non ha certo contribuito a rasserenare i rapporti tra il Napoli e la sua tifoseria, torna prepotentemente all’attenzione la richiesta di un azionariato popolare per sostituire l’attuale proprietà, ma sarebbe opportuno fare qualche considerazione a riguardo perché quando si parla di azionariato popolare o di Supporters Trust, sembra che tutti abbiano poche idee ma ben confuse.
È giusto chiarire subito che i tifosi non possono costringere una società di capitali a trasformarsi in una ad azionariato popolare, è una forzatura che il sistema giuridico non consente in alcun modo. Si può fare una legge dello Stato, come quella tedesca del 1999 (società al 51% di proprietà dei tifosi), ma diversamente chiedere questa trasformazione è una perdita di tempo.
Esistono altre realtà di azionariato popolare, in Spagna ad esempio ci sono il Real Madrid, il Barcellona e l’Athletic tra le più famose, tutte società che hanno quest’organizzazione da sempre e nelle quali le cariche direttive sono assegnate mediante elezioni tra i soci e rinnovate periodicamente.
Un aspetto da ricordare è che con questo modello i tifosi soci (quelli che votano e hanno un peso nel governo della società) ogni anno rinnovano la propria associazione pagando una sostanziosa quota.
Non è superfluo rammentare che oltre a questa quota associativa, i tifosi di tali società poi aggiungono l’acquisto dell’abbonamento, l’acquisto della maglia ufficiale e di altri gadget, partecipando ogni stagione al mantenimento della propria squadra del cuore con qualche migliaio di euro. E questo considerando solo le forme più dirette di finanziamento, ci sono poi da sommare altre spese come la pay tv che è un ulteriore contributo indiretto dei tifosi alla propria società.
A Napoli saremmo pronti a fare lo stesso? Non sono solo i munifici sponsor a permettere al Real di fatturare oltre 600 milioni di euro, i tifosi incidono in maniera importante nel raggiungimento di quella cifra (basti pensare alle 300 mila magliette vendute in pochi giorni per il solo James Rodriguez a oltre 90 euro l’una). Un discorso molto simile riguarda il Bayern, società di proprietà al 73% dei propri tifosi (altri azionisti sono Audi, Adidas e Allianz), oppure il Dortmund. Per questi due club tedeschi, oltre un terzo del fatturato viene ogni anno dai soldi dei tifosi (ricavi commerciali e del match day).
Sentendo parlare invece i napoletani, si ha l’impressione che sia diffusa un’idea distorta dell’azionariato popolare, cioè che la proprietà del Napoli dovrebbe essere collettiva ma che questo non comporterebbe poi spese ai soci per mantenerlo a certi livelli di competitività.
È allora utile fare un analogo discorso anche per lo stadio. Oggi giustamente si chiede uno stadio nuovo (o un San Paolo rinnovato), ma è chiaro a tutti che i biglietti costeranno molto di più? E che poi non si potrà più entrare con i panini o la frittata portata da casa alle partite, perché quel che si mangerà lo si dovrà comprare dentro lo stadio?
Il modello Juventus Stadium è certamente da elogiare ma l’aumento dei ricavi è coinciso con un notevole rincaro dei prezzi di abbonamenti e biglietti tale da suscitare più di una protesta da parte dei tifosi (nonostante tre scudetti vinti di fila).
Il tempo del mecenatismo è finito da un pezzo, ma non sembra esserci la voglia di farlo capire ai tifosi italiani, che invece continuano ad aspettarsi il babbeo di turno che venga a svuotarsi le tasche per la squadra del cuore.
Se per ipotesi domattina uno sceicco acquistasse il Napoli, potrebbe spendere la stessa cifra di De Laurentis perché i ricavi sono quelli che sono (120-140 milioni l’anno, coppe escluse). Se poi lo sceicco fosse bravo a incrementare il fatturato, allora crescerebbe di conseguenza la capacità d’investimento del club. Ma è bene comprendere questo passaggio: i ricavi che la società può aumentare possono giungere da sponsor più generosi, da un aumento degli introiti da stadio (ristoranti, biglietti più cari) oppure dall’aumento degli introiti commerciali (promozione marchio, maglie, gadget, etc.). Comunque la si voglia mettere, se il desiderio è quello di vedere la società competere con realtà più grandi, di maggior fatturato o tradizione, è dai tifosi che deve arrivare la gran parte dei soldi necessari per farlo.
Andrea Iovene