Antonio La Palma, detto Tonino, corre sulla fascia sinistra che pare un demonio. Qualcuno a Napoli è convinto che possa persino andare più veloce di Mennea, pugliese come lui, e in grande ascesa sulla scena dello sprint mondiale, dopo il bronzo sui 200 metri ai Giochi di Monaco del ’72. Tonino invece corre a Napoli, un cavallo, ma elegante, questo è Tonino, al San Paolo lo ha voluto Luis Vinicio, che lo aveva allenato al Brindisi e che lo giudica indispensabile per il suo modernissimo calcio. La difesa a zona. Vinicio prova a imporre in Italia lo stile che l’Olanda sta diffondendo. Si propone come un innovatore. Quando dall’Inter arriva il vecchio Burgnich al posto di Zurlini, il Napoli si converte alla zona totale. La Palma è perfetto per la copertura e per la spinta a sinistra, si trova ovunque, Ferlaino accontenta l’allenatore brasiliano e si affretta a ingaggiare il ragazzo. Il Napoli vola, Vinicio viene salutato come la meravigliosa anomalia del nostro calcio, ma è sempre costretto a vincere, perché ad ogni gol subito i conservatori alzano la voce e si chiedono dove sia finito il vecchio e caro calcio all’italiana. Gianni Brera in testa.
La Palma (nella foto con Gianni Di Marzio ai tempi del Brindisi) porta con sé un’idea sovversiva di calcio. Non ha lasciato la sua Brindisi, dove i fratelli gestiscono una macelleria, per essere banalmente uno dei tanti. Attacca gli spazi anziché restare incollato all’uomo. Dovrebbe marcare l’ala destra, invece Vinicio gli chiede di spingere, di spingere e crossare, per obbligare le ali a tornare in difesa oppure per creare una superiorità numerica di cui si avvantaggiano Clerici e Braglia. In fondo il calcio è un gioco semplice. La Palma è un elettroshock. Nel mondo Nilton Santos ha tracciato per primo la strada, inventando il ruolo di terzino volante, altrimenti detto fluidificante. In Italia Facchetti si sta convertendo in libero e ha lasciato la sinistra, Rocca detto “Kawasaki” vedrà presto spezzata la sua carriera da un infortunio, Cabrini arriverà solo a fine decennio. La Palma resta una piccola grande eresia a cui la nazionale italiana non concederà mai una chance. Vinicio si batte, litiga a distanza con il ct Bernardini, che dopo il disastro mondiale del ’74 sta ricostruendo tutto da zero, ma senza napoletani, a eccezione di qualche gettone per Juliano che si avvia al tramonto e di una chiamata per Orlandini, lanciato una sera allo sbaraglio, in marcatura su Cruyff. Per sostenere la causa dei suoi, La Palma in primis, Vinicio arriva persino a sfidare Bernardini in una singolare partita, Napoli contro Italia, che però non si giocherà mai. Il Napoli bello e vincente durerà due anni. Quando i risultati cominciano a calare, Vinicio resta solo fra le critiche. Pure La Palma sta svanendo, la città crede di conoscerne il motivo e mormora di una relazione fra il calciatore e l’attrice e cantante Angela Luce. Pruriginosi e morbosi quegli anni ’70. La partenza di La Palma (Avellino, poi Lecce) lascerà un vuoto che il Napoli farà fatica a colmare. Arrivano fior di terzini, ma pare una maledizione, chi per un motivo e chi per un altro, sono tutti di passaggio: Tesser, Marangon, Citterio. Quindi gli anni meno brillanti dei Frappampina e dei Boldini. Nell’anno dello scudetto metterà una toppa Volpecina, ma spesso Bianchi sceglierà di rinunciare al fluidificante aggiungendo un marcatore (Ferrara), se in attacco c’è Carnevale e non il più prudente Caffarelli. Accoglieremo infine l’arrivo di Francini come una rivincita sulla storia, ma la velocità di La Palma non la dimenticheremo più.
Il Ciuccio
La prima puntata è stata dedicata a Masi