Subito dopo la conclusione della partita col Verona, un inatteso riflesso riporta sensazioni e immagini di una lontana domenica, quando le fasi di una partita vista e non vista si impressero con forza nella memoria. Il bel sollievo scaturito dalla vittoria piena sui veronesi è riuscito a congiungersi con la felicità provata in una domenica lontana.
Correva l’anno 1952. Il calendario calcistico segnalava Napoli-Juventus. Con i calzoni corti sotto il cappotto (gennaio) ero nel piazzale dello stadio del Vomero, a pochi passi dal cancello dei “distinti”. Non avevo biglietto per entrare ma ci si appostava lì, nella speranza che verso la fine dell’incontro i cancelli – come accadeva spesso – venissero aperti anche per gli esclusi.
La partita cominciò nel fragore del tifo azzurro che incoraggiava il Napoli a osare contro una Juve molto forte. Tanto da imporre il suo gioco e andare in gol con J.Hansen e l’ala sinistra Praest. Tuttavia, il Napoli di Monzeglio non rinunciò a giocare con impegno. Ce lo dicevano le urla, gli applausi e i cori di incoraggiamento che arrivavano dalle gradinate. Più volte un giovanissmo tifoso che era “dentro” si avvicinava al cancello sbarrato e a voce alta raccontava alcune fasi del gioco al fratello che invece era fuori, tra i “non entranti”. Tutto il gruppo esterno lo ascoltava con attenzione. E così quasi vedemmo i gol della Juve, favoriti da due indecisioni del pur bravo Casari.
Ci si avvicinava ormai verso la fine della partita. A cinque minuti dal fischio finale, il cancello fu aperto, secondo tradizione. Il gruppo degli “esterni” si precipitò sulla scalinata, presto fermato da una barriera umana. Entrai anch’io. Fui fortunato nel fermarmi su un segmento di spazio che concedeva alla vista solo la porta della Juve e poco più. Ma fu proprio in quel piccolo spazio visivo che a un certo punto si materializzò quel che sarebbe stato uno dei gol più belli e indimenticabili. Pesaola e Jeppson avevano accorciato le distanze. Dal limite, Amadei scagliò nella porta juventina difesa da Cavalli un pallone imprendibile per il sorpasso vittorioso, 3 a 2. Al novantesimo minuto. Cavalli si appoggiò al palo, disperato. Mi trovai a saltare per forza di inerzia, trascinato dall’altalena impazzita della gente intorno a me. Come disse Mario Ferretti alla radio, folla in delirio.
Mimmo Liguoro