“I lamenti partenopei, corroborati da un’ironia degna di miglior causa da parte di Rafa Benitez, confermano l’arretratezza culturale del nostro calcio in cui, anche di fronte all’evidenza dei fatti, la colpa è sempre degli altri. Per gli inglesi l’arbitro fa parte del gioco, alla stregua di un calciatore che sbaglia un rigore”. Così scrive Alberto Costa in un commento apparso questa mattina sul Corriere della Sera e duole constare che, come nel caso del tema sicurezza negli stadi, la realtà è un’altra.
Premesso che in termini di favoritismi nessuna squadra nel mondo è paragonabile alla Juventus, anche all’estero ci sono polemiche. In Spagna c’è un coro che spesso accompagna le trasferte del Real Madrid “Asì, asì, asì ganà el Madrid” (Così, così, così vince il Real Madrid) a sottolineare un modo di ottenere le vittorie in maniera poco pulita. L’ultima volta è stato intonato a Valencia, quando ai blancos è stato assegnato un rigore per fallo di mano di Negredo. E’ un coro nato nel 1979 allo stadio “El Molinion” di Gijon, dopo un’espulsione molto discutibile della stella locale Enzo Ferrero. Questo coro però è cantato anche dai tifosi del Real Madrid quando la squadra sta vincendo con netta superiorità.
In Inghilterra invece per anni è circolata la leggenda del “Fergie’s time”, una porzione extra di recupero data al Manchester United quando stava perdendo. Ma esiste veramente? “Se esiste significa che gli arbitri non fanno correttamente il loro lavoro, in quanto calcolano male il tempo di recupero. È opinione diffusa che gli arbitri aggiungano 30 secondi per ogni gol, sostituzione o altre interruzioni.” L’ex arbitro Graham Poll dice che non esiste, è un mito popolare alimentato da squadre invidiose del successo dello United ma, riflettendoci, “penso che sarebbe troppo facile dire che è solo spazzatura. Quando tu rifletti e pensi cosa succede, ti rendi conto della pressione dell’Old Trafford o dell’Emirates o di Stamford Bridge. La pressione è implicita ed ha un effetto, anche se inconsciamente”.
Quello del “Fergie’s time” è un mito nato nella stagione 1992/1993 quando al novantesimo Manchester United e Sheffield Wednesday erano sul punteggio di 1 a 1. Furono concessi sette minuti di recupero durante i quali Steve Bruce (attuale allenatore dell’Hull City) segnò il 2 a 1 per lo United. Da allora ogni volta che allo United è stato dato un po’ di recupero, i tifosi si lamentavano. Le statistiche Opta sembrano confermare il “Fergie’s time”: analizzando ad esempio le stagioni dal 2010 al 2012, si nota che quando il Manchester stava perdendo aveva una media di quattro minuti e 37 secondi di recupero rispetto a tre minuti e 18 secondi quando stava vincendo.
Durante il recupero Alex Ferguson ha vinto una Champions League, ma ha anche perso una Premier con i tifosi del Manchester City che cantavano “We won the league/on Fergie Time/We won the eague/on Fergie Time”. L’ex allenatore dello United ha spesso vinto le partite negli ultimi 15 minuti (una sorta di zona-Mazzarri, ci perdonino gli dei del calcio) e da bordo campo, gesticolando vistosamente, indicava l’orologio. Intervistato a questo proposito da BT Sport ha dichiarato: «È vero, ma non ho mai guardato l’orologio. Onestamente non so quanti minuti mancavano, lo facevo per irritare gli avversari e l’arbitro. Era un piccolo trucco. Succedeva spesso all’Old Trafford negli ultimi 10/15 minuti, quando c’erano 65 mila persone.»
Se quanto detto da Rafa Benitez vi ha stupito, quanto accaduto qualche anno fa a Liverpool vi sorprenderà ancora di più. Il rapporto tra Alex Ferguson e Rafa Benitez non è mai stato idilliaco, ci furono spesso duri scontri così come testimoniato dall’autobiografia di Sir Alex. Il caso più eclatante avvenne nel corso della stagione 2008/2009. I Reds erano in piena corsa per il titolo, in testa alla classifica con tre punti di vantaggio sul Chelsea e sette sullo United che doveva però recuperare due partite; Sir Alex qualche giorno prima si era lamentato del calendario troppo fitto e del trattamento riservato ai Red Devils. Rafa, come spiega nella sua autobiografia, capisce che deve alzare il tiro e in conferenza stampa risponde: «Sono sorpreso da quanto è stato detto, forse allo United sono nervosi perché siamo in testa alla classifica. Ma io non voglio utilizzare mind-games, voglio parlare dei fatti. Tutti gli allenatori devono sapere che solo il signor Ferguson può parlare di calendari, può parlare di arbitri e non succede nulla. Sappiamo quello che succede ogni volta che andiamo ad Old Trafford. Loro vanno sempre dall’arbitro, specialmente a fine primo tempo camminano vicino e parlano. Ogni settimana mettono pressione agli arbitri, lo sappiamo. Abbiamo visto nostri giocatori espulsi ad Old Trafford, ma non i nostri avversari.
«Abbiamo avuto un incontro a Manchester tra allenatori e la FA per la “Respect Campaign” e sono stato molto chiaro: dimenticate la campagna perché il signor Ferguson sta uccidendo gli arbitri, uccidendo il signor (Martin) Atkinson, uccidendo il signor (Keith) Hackett. Noi stiamo parlando di fatti, non di mie impressioni. Ci sono cose che tutti possono vedere ogni settimana. Non sto dicendo alle autorità cosa fare, ma io sono qui da cinque anni e so come vanno le cose. Se vuole parlare di calendari, su un piano di parità, se non vogliamo avere più problemi con i calendari ci sono due opzioni: o fare come in Spagna, il sorteggio per la prima parte del campionato è noto, tutti sanno quali partite giocheranno nel weekend e nella seconda parte s’invertono i campi. O c’è un’altra opzione. Che il signor Ferguson organizza il calendario nel suo ufficio e lo invia a noi e tutti sapranno e non può lamentarsi. È semplice.» Quella conferenza passò alla storia come il Benitez’s rent.
Nella sua autobiografia [La mia vita, Bompiani] l’ex allenatore dei Red Devils ricorda così quest’episodio: «Il giorno in cui elencò quella famosa lista di “fatti” che avrebbero testimoniato la mia influenza sugli arbitri, qualcuno ci aveva detto che il Liverpool aveva organizzato le cose in modo che venisse posta a Benitez una particolare domanda che gli avrebbe dato modo di attaccarmi su quel tema. Niente di particolarmente insolito, anche a me era successo di farlo. Il nostro ufficio stampa mi avvertì: “Pensiamo che Benitez ti attaccherà direttamente, oggi”. “A proposito di cosa?” Non lo sappiamo, ma abbiamo ricevuto una soffiata”. Fatti. Ma i fatti erano tutti sbagliati. I media speravano che iniziasse una guerra e che io avrei contrattaccato. In pratica dissi che Rafa era amareggiato per qualcosa, ma non sapevo spiegare cosa fosse. Era il mio modo per dirgli sei stato sciocco, non devi mai farne una faccenda personale. Fu la prima volta che ricorse a strategie del genere ed ogni attacco successivo ebbe questi toni di risentimento.”
Benitez non parla mai degli arbitri nel post-partita, forse ha ritenuto la misura colma. In un’intervista al mensile “L’Arbitro”, qualche mese fa ha detto: “Il livello degli arbitri in Italia è molto alto. Errori capitano sempre, perché è impossibile non farne, per gli allenatori, per i giocatori e anche per gli arbitri, che hanno anche il problema di avere ogni volta puntato contro il fucile di due tifoserie. A me piace l’arbitro deciso, che sbaglia con la sua testa. Ma è giusto che abbia tutti gli aiuti possibili: se non è convinto di una cosa è bene che chieda il conforto di un altro. Però deve essere uno solo a decidere. La cosa che mi è piaciuta di più è stata la generale serenità dei fischietti italiani. Noi in campo ci accorgiamo subito quando un direttore di campo è sereno. In questo modo siamo tutti più garantiti. Se un arbitro è sereno in campo uno accetta anche un errore”.
In effetti Tagliavento come condotta e come decisioni non è apparso particolarmente sereno. Rafa non si è sentito garantito. Ci può stare.
Alfonso Noël Angrisani