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La sera in cui Benitez ha avuto una caduta di stile

La sera in cui Benitez ha avuto una caduta di stile

Una canzone di qualche anno fa, parlando della necessità di conoscere la differenza tra la parte giusta e quella sbagliata ed i confini che le dividono, ammoniva: “Occorre essere attenti per essere padroni di se stessi”. Ieri sera, a corollario di uno struggente inizio di gara sulle note di “Napule è”, gli altoparlanti del San Paolo avrebbero fatto bene a far risuonare sulla sconfitta le strofe di “Linea Gotica”.

Sono bastati sessanta minuti di post partita con la Juventus, e tre settimane da una finale vinta in modo epico, per infilarci tutti nella macchina del tempo e far tornare indietro le lancette nei pressi dell’anno zero del tifo. Quando anche Rafa, reduce da quasi due anni esemplari di equilibrio e pacatezza, esordisce un difficile commento a caldo ironizzando e concentrandosi unicamente sulla svista arbitrale, e con l’adrenalina che ancora fatica a smaltirsi commenta e contesta per minuti interi un fallo di Koulibaly che lo stesso francese aveva sportivamente ammesso con la leggerezza di un sorriso sul campo, è più chiaro che sarà la lunga notte nella quale mesi di pazienti insegnamenti sul calcio e le sue dinamiche verranno momentaneamente spazzati via da un turbinio di polemiche. Del tutto inutili. E soprattutto di una noia mortifera.

Anzitutto perché una squadra che pochi giorni prima a Cesena ammutolisce i soliti lagnosissimi cori sul Vesuvio e le condizioni igieniche dei napoletani con un goal di rara classe del centravanti della nazionale argentina, non ha alcun bisogno di commentare una svista arbitrale per un’ora buona. In secondo luogo perché è profondamente ingiusto che così facendo si conceda il facile agio addirittura a Buffon – portiere di una prima in classifica che ha iniziato a rosicchiare secondi di non gioco dopo appena trenta minuti, in un vero e proprio medioevo calcistico – di impartire una stucchevole ma non del tutto ingiustificata lezione di sportività alla squadra napoletana. Infine perché questa linea di condotta, in cui a dettare le regole è la continua ricerca affannosa della scusa che giustifichi tutto, è esattamente quella che Rafa Benitez ha pazientemente e con sacrificio tentato di smantellare in tutto l’ambiente che orbita attorno al calcio di e a Napoli.

Non è un dramma. Proprio come non è stata un dramma la partita, per chi l’ha vista. Equilibrata al limite della noia. E decisa così da diversi episodi. Tutto questo, a mio avviso, l’allenatore lo sa molto bene. E non da oggi. Perché il primo fautore di questo difficile inizio di mutazione genetica del calcio partenopeo è proprio lui. E quella adrenalina che gli ha suggerito frasi e parole nella notte ha paradossalmente mostrato il lato irrequieto, agonistico ed indomito, ma anche fallibile, che è importante si sveli nelle persone che si ammirano – o alle quali si vuole bene.

La vecchia canzone di cui scrivevo all’inizio riporta un altro verso fondamentale: “Anche la disperazione impone dei doveri”. E questo dovere risiede nello stile che il Napoli deve saper continuare a costruirsi attorno, perché quello sì durerà dopo di noi. Per dirla con J. Valdano: “Nessuno si sbagli; quando si perde una partita o un campionato, ci saranno sempre altre possibilità; quando si perde lo stile, si perde tutto. Se ancora vi chiedete cosa ci insegna lo stile, la risposta è semplice: ci insegna a sapere chi siamo.”
Raniero Virgilio


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